07/06/11

MALCOM X E PUBLIC ENEMY

L'AMERICA ha dovuto aspettare un presidente nero che sa parlare all'Islam, cresciuto da bambino all'ombra dei minareti di Jakarta, poi star di Harvard, depurato di ogni "accento nero" linguistico e ideologico, lo statista che osa pensare una società pacificata e post-razziale. Solo nell'èra di Barack Obama diventa possibile riaprire un grande tabù, una pagina di storia lacerante. È la vicenda di Malcolm X. Oggi avrebbe 86 anni e morì che ne aveva 39, centrato dagli spari mentre arringava la folla nella Audubon Ballroom di Harlem. Quel 21 febbraio del 1965, nel giorno di una morte violenta che lui stesso aveva prevista e annunciata, Malcolm X si portò nella tomba tanti segreti: a cominciare dall'identità dei suoi assassini e dei mandanti.

Per più di quarant'anni un grande intellettuale nero, lo storico Manning Marable, ha lavorato per venire a capo del mistero. Marable, fondatore del dipartimento di studi afroamericani alla Columbia University, è morto due mesi fa. Uscita postuma, la sua opera monumentale Malcolm X: a Life of Reinvention, aiuta a capire i perché di tante reticenze e omertà. Un altro storico, Stephen Howe, ricorda cosa fece di Malcolm X l'eroe di una generazione: "Straordinario oratore, divenne lo schermo sul quale milioni di neri proiettarono le loro speranze. Aveva molto degli improvvisatori di musica jazz, anticipò i futuri rapper. Incarnava il mito del fuorilegge vendicatore, in una società di neri senza diritti". Artista della reinvenzione
di se stesso, Marable lo descrive come una costruzione di "maschere multiple": da zotico di provincia a delinquente, da uomo di spettacolo a intellettuale autodidatta, esponente radicale del nazionalismo nero, predicatore religioso, musulmano ortodosso. Acerrimo rivale di Martin Luther King, poi sul punto di riconciliarsi con lui: firmando così la propria condanna a morte.

Dopo l'assassinio di Malcolm X tre uomini vengono arrestati, processati, condannati velocemente. Due saranno messi in libertà negli anni Ottanta e mai hanno smesso di proclamarsi innocenti. Solo il terzo, Talmadge Hayer, rilasciato dal carcere l'anno scorso, è reo confesso. C'era solo lui quel giorno a sparare? La minuziosa indagine di Marable ricostruisce una verità diversa: fu un commando di cinque sicari a firmare l'esecuzione. Chi sparò il primo colpo, mortale, non è mai stato disturbato dalla giustizia. Ha 72 anni, oggi vive a Newark sotto il nome di William Bradley. È un ex campione di basket, celebrato nel Newark Athletic Wall of Fame. La pista dei mandanti si biforca in due direzioni, verso forze tra loro opposte ma ugualmente interessate a far fuori Malcolm X e poi a seppellirlo nell'oblìo. Da una parte c'è l'Fbi che intercettava sistematicamente le sue telefonate, ignorò le minacce di morte che si moltiplicavano, fece di tutto perché l'attentato procedesse indisturbato. Dall'altra c'è il radicalismo nero, a cominciare dalla Nation of Islam e un leader come Louis Farrakhan che a Marable ha confessato: "Potrebbero trascinarmi davanti a un gran giurì anche oggi, non esiste prescrizione per gli omicidi". Le prove accumulate dall'autore appena scomparso sono schiaccianti, Michael Eric Dyson della Georgetown University ne è convinto: "Questo libro impone di riaprire l'indagine". Peter Goldman, reporter che intervistò più volte Malcolm X, è altrettanto convinto che non succederà: "Fare giustizia oggi, risalendo lungo la catena di comando? Colpire chi diede l'ordine di ucciderlo? Nessuno lo vuole".

L'ultimo revival d'interesse risale alla fine degli anni Novanta: il fascino di Malcolm X conquista il regista Spike Lee che mette in scena la sua vita affinando la parte a Denzel Washington. Nel '99 le poste gli dedicano perfino un francobollo. Ma poi arriva l'11 settembre: nell'epoca della "guerra globale al terrorismo" proclamata da George Bush, guai a ricordare che un'Islam radicale e violento ha messo le radici da tempo nella società americana, tra i neri, non come fenomeno d'importazione dal mondo arabo.

All'Islam il giovane Malcolm Little di Omaha, Nebraska, arriva dopo numerose reincarnazioni, scandite da cambi d'identità: Jack Carlton, Detroit Red (quando si tinge i capelli), Satan, El-Hajj Malik El-Shabazz. Da ultimo quella X, simbolo di ribellione contro dei cognomi che erano stati affibbiati agli schiavi dai padroni bianchi. Figlio di un pastore battista forse lui stesso assassinato (da bianchi), Malcolm cresce in una famiglia così povera che spesso a cena la madre può cuocere solo erbacce di strada. Diventa spacciatore, poi capo di gang di ladri, a Detroit e a Harlem. In carcere per rapina dal 1946 al 1952, alla Norfolk Prison Colony del Massachusetts. Qui si converte all'Islam, abbandona il fumo e il gioco d'azzardo, studia la storia degli afroamericani e insieme Erodoto, Kant, Nietzsche. Lì avviene il passaggio fra due ruoli egualmente popolari nella mitologia dei neri: il bandito spregiudicato vendicatore degli oppressi, e il predicatore chiamato a salvare le loro anime. La reinvenzione della propria immagine continua fino alla celebre Autbiografia di Malcolm X: affidata a un ghost-writer ultramoderato, il giornalista nero di fede repubblicana Alex Haley che diventerà poi famoso con Radici. In quell'autobiografia, fonte del film di Spike Lee, viene esagerato il curriculum criminale di Malcolm X, per rendere ancora più spettacolare la sua redenzione religiosa.

All'apice della sua fama Malcolm diventa il portavoce della Nation of Islam e contribuisce ad allargarne i ranghi fino a 500.000 iscritti. È il periodo della sua radicalizzazione estrema. Quando in un incidente aereo muoiono 62 ricchi bianchi di Atlanta per lui è "la prova che Dio esiste". Reagisce all'assassinio di John Kennedy dicendo che se l'è meritato. Recluta nelle carceri, creando una commistione totale fra militanza politica e criminalità. Invoca la lotta armata, difende il terrorismo contro la polizia, diventa il precursore teorico delle Black Panther. Immagina una "nazione nera" che fa secessione dentro l'America, al punto da incontrarsi con esponenti del Ku Klux Klan per progettare assieme "la separazione tra le due razze". The Nation of Islam, spiega Howe, con Malcolm X diventa "una bizzarra mescolanza di teologia, fantascienza, fanatismo razziale. Teorizza la malvagità intrinseca della razza bianca e in particolare degli ebrei, l'inferiorità delle donne". Il divorzio matura all'improvviso. Per ragioni anche personali: il leader spirituale della Nation of Islam, Elijah Muhammad, mette incinta la donna con cui Malcolm aveva avuto una lunga relazione. E poi c'è il viaggio alla Mecca, l'incontro con un Islam moderato e multirazziale. Un'altra conversione: alla fede sunnita. È il "tradimento" che arma i suoi assassini. Proprio quando Malcolm comincia a recuperare il dialogo con Martin Luther King, fino allora dipinto come uno "zio Tom", servo sciocco dei bianchi. "Ci sono cose - aveva detto Malcolm in tono sprezzante contro King - più importanti del diritto a sedersi insieme coi bianchi in un ristorante".

Per il poeta nero Amiri Baraka non aveva torto, Malcolm X, e la sua eredità è meno negativa di quanto sembri: "Senso d'identità, indipendenza, con questi valori l'ala dura del movimento di liberazione dei neri ebbe un impatto enorme nella società americana, senza di lui non ci sarebbe Obama". Anche su questo i neri continuano a dividersi. Tra chi vede in Malcolm il paladino di un orgoglio di razza, e chi fa risalire a lui il vittimismo permanente: l'etichetta del "nero arrabbiato" che Obama è riuscito a togliersi con una fatica enorme, sopportando stoicamente le insulse accuse sulla sua nazionalità keniota o la sua religione islamica. E quando nel luglio 2009 questo presidente ha preso le difese di un professore nero di Harvard, Henry Louis Gates, vittima di un sopruso da parte della polizia, l'America bianca benpensante e conservatrice è saltata addosso a Obama. Sperando che reagisse coi nervi a fior di pelle. Sognando di ritrovare come avversario un Malcolm X: un Satana.

Fonte: FEDERICO RAMPINI (la Repubblica)

FEAR OF BLACK PLANET - PUBBLIC ENEMY


1990. Il gangsta rap iniziava a furoreggiare ,sulla West Coast e in tutto l'universo americano dell'hip hop,con i suoi temi di sesso, violenza e potere,e i Public Enemy escono con Fear of Black Planet,terzo lavoro per la band di Chuck D,Flavor Flav,Terminator X,(con la collaborazione di tutto il combo della Bomb Squad,collettivo di DJ che ruotavano nell'orbita del gruppo) presentando un messaggio totalmente diverso attraverso un vero e proprio uragano sonoro.Il disco si apre con sirene di raid aerei, frammenti di telegiornali e assordanti assoli di chitarra,mentre le rime definiscono la direzione dell'album: 'C'è qualcosa cambiando nel clima di coscienza su questo pianeta oggi'.Se una canzone può riassumere l'intero album,questa è 'Fight the Power', originariamente incluso nella colonna sonora del bellissimo film di Spike Lee Fà la cosa giusta, (Do the right thing) storia di tensioni razziali tra le diverse comunità,italoamericana e afroamaricanama,ma i temi dei testi non risparmiano niente e nessuno:si parla di razzismo,e di sessualità,di media,politica e di guerra.si attaccano senza rispetto icone americane come Elvis e J.Wayne,si incita alla rivolta verso la falsa integrazione razziale degli afroamericani.
Fear of Black Planet è un album duro di uno dei gruppi fondanti della musica nera moderna,con canzoni molto potenti,pieno di rock e di funky oltre che di rap ma è anche un disco a suo modo ballabile,con i tanti riferimenti a James Brown,Sly And The Family Stone e a tanti altri artisti soul che evidenziano le loro radici musicali più profonde..
'La maggior parte dei miei eroi non appaiono in alcun francobolli',recitano i Pubblic Enemy,e Fear of Black Planet è considerato uno dei capolavori del genere hip hop.


Fear of Black Planet

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