05/11/11

Industria discografica: Mute Records


La parabola dell’industria discografica contemporanea è un po’ schizoide: da una parte il ribaldo idealismo avant-garde del compianto Tony Wilson (fondatore della Factory Records, famoso per aver firmato il contratto con i Joy Division col proprio sangue, l’unico della sua carriera); dall’altra il business puro, culminato con l’acquisizione della Emi nel 2007 da parte di un fondo di investimento. Ma in mezzo c’è anche qualche animale raro capace di garantire qualità e profitti. Daniel Miller, lo schivo boss della Mute Records - l’etichetta che ha dato al mondo i Depeche Mode ma anche i Laibach; gli Erasure ma anche i Birthday Party; Yazoo, ma anche i DAF; Goldfrapp ma anche gli Einstürzende Neubauten - è uno di questi.




videoclip ufficiale di Apparat - Song Of Loss.


Come ha fatto?
Non ho mai pensato coscientemente a creare un catalogo che comprendesse mainstream e cose sperimentali, a percentuale. Tutto si è sempre basato sull’istinto”.

Da una trentina d’anni la Mute continua a macinare ottima musica, ogni tanto infilando anche qualche successo commerciale. Bisognava celebrare il passato, senza averne paura. Per questo, la scorsa primavera, a Camden Town, nella leggendaria Roundhouse, (dove hanno suonato tutti, dai Clash ai Pink Floyd, da Hendrix a Bowie, dagli Stones ai Led Zeppelin) sono convenuti The Residents, Laibach, Moby, Richie Hawtin, Martin L. Gore e Andy Fletcher (Depeche Mode) Alison Moyet, Vince Clarke per citare solo quelli del passato. E poi, il presente della Mute: S.C.U.M, Josh T. Pearson, Beth Jeans Houghton, Big Deal.
“ È straordinaria l’energia spesa, gli artisti hanno preso solo un rimborso spese. Ho voluto parlare con tutti, molti non li vedevo da anni, è stato emotivamente molto intenso”. Ma l’uomo a cui si deve parte della musica più innovativa degli ultimi tre decenni non può indugiare guardandosi alle spalle. “ Non l’avrei fatto se mi fossi reso conto che era un’operazione nostalgica. Siamo un’etichetta che rispetta e gode del proprio passato ma non ce ne stiamo seduti sugli allori”.

La Mute è oggi tornata indipendente, dopo esser stata comprata dalla stessa EMI, dalla quale è distribuita. Pur avendo raggiunto grandi numeri, soprattutto con un mostro commerciale come i Depeche Mode, il metodo di Miller è lo stesso di allora.
“ Il mio rapporto personale con gli artisti è molto importante e diretto. Non voglio fingere di essere il loro migliore amico o che usciamo tutti insieme la sera, ma tra noi c’è senz’altro un grado di rispetto e fiducia reciproca”.
Gli artisti li sceglie in base all’originalità, non al genere musicale. Classe 1951, Daniel Miller ha vissuto l’età d’oro della musica popolare, folgorato dai Beatles all’età di dieci anni:
“ Provenivano da un altro pianeta, sotto ogni punto di vista, avevano un suono indescrivibilmente nuovo”. Anni di creatività torrenziale, ma anche di curiosità e sperimentazione tecnologica, che sarebbero diventate più tardi marchi di fabbrica di casa Mute.
“ Tra il 1962 e il ’67 il grado di innovazione e progresso nella musica popolare è stato immenso. In quei dischi di allora qualsiasi cosa era un esperimento che tentava di cambiare le regole, anche forzando i limiti della limitata tecnologia allora disponibile”.

Anche se tutto era cominciato da Elvis.
“ Elvis era la techno dell’epoca. Oggi si tende a considerare la sua musica come un esempio di tradizione e autenticità: nulla più lontano dal vero: era un sound distorto, che faceva un uso deliberatamente eccessivo dell’eco… un trasgredire qualsiasi regola”.
Poi arrivò l’inevitabile stasi.
“ Tutto si fermò anche per cinque o sei anni dopo la fine degli anni Sessanta, con il rock che celebrava se stesso. Io avevo sedici, anni non mi interessava la celebrazione, volevo qualcosa di altrettanto folle e creativo. Per questo cominciai ad ascoltare cose diverse, lontane, grazie a John Peel”.
Fu ascoltando il programma di Peel alla BBC che conobbe i Can,
“ Nel 1969, un’altra esperienza che mi cambiò la vita: scoprii i Neu! e i Faust e mi dissi: “Cari amici della musica angloamericana, è il momento di emigrare culturalmente!”.

La Germania di allora stava producendo una musica orgogliosamente anticommerciale e sperimentale, chiamata col nomignolo sciovinista di “Krautrock”, che faceva un ampio uso di elettronica. E naturalmente c’era quella band di Düsseldorf, tali Kraftwerk, forse la più influente della storia assieme ai Beatles.
“ La generazione del dopoguerra non voleva avere nulla a che vedere con il passato, voleva iniziare una nuova cultura. La musica fu una combinazione fra questa frattura e il non voler essere una colonia americana”.
Con questo background Miller si ritrovò in mezzo al ciclone del punk: la città della musica era da ricostruire dalle fondamenta.
“ Volevo far circolare le idee tedesche e combinarle con quello che veniva prodotto musicalmente qui. Il punk per la prima volta affermava che potevi fare qualunque cosa purché lo volessi, era l’etica del DIY, saper suonare non contava. Dal 1978 il punk era evaporato, lasciandosi dietro uno spazio vuoto. In quello spazio c’era gente che aveva delle idee ma che non sapeva ancora bene come realizzarle”.

Miller fece uscire un singolo “Warm Leatherette” con il moniker The Normal. Poi divenne manager del pioniere synth Fad Gadget (Frank Tovey, 1956-2002): nasceva ufficialmente la Mute. Ormai era possibile comprare un synth, “ uno strumento più punk della chitarra”, allo stesso prezzo di una chitarra e di un amplificatore.
“ Divenne possibile fare cose che fino ad allora non ci si poteva nemmeno sognare”.
Poi arrivarono i Depeche, scoperti mentre suonavano di supporto a Fad Gadget. Il resto è storia. E oggi, Miller è ancora esaltato dai nuovi acquisti della sua scuderia, come Apparat, il cui disco, The Devil’s Walk è appena uscito, o i giovani S.C.U.M.
“ Naturalmente deve piacermi la musica, devo sentire che hanno una visione originale e che siamo d’accordo sul tipo di pubblico a cui si rivolge il disco”.
Ma è vera questa storia che entrò nello studio dei Depeche Mode mentre provavano “Personal Jesus” e che la cambiò di sana pianta?
“ Non ricordo, forse gli dissi di accelerare il ritmo. Ma l’ho fatto con talmente tante altre band…”


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