30/04/13

Phillip Lopate, Lou Reed e L'arte di aspettare

In fondo la vera ossessione di Lou Reed non era la droga.. Lou era uno di quelli che l'eroina la cantava, era piú incline a farci delle canzoni che a farsi di brutto. Nessuno se lo ricorda come uno di quei tossici con la testa ciondoloni. A detta di Dennis Fields (dirigente della Atlantic Records e poi manager dei Ramones) era sempre in grado di intendere e di volere, ma è stato quello che più di tutti ha descritto solennemente (e senza giudizi morali)  la natura ciclica del viaggio e l’attesa dello spacciatore. Era affascinato dal rito dell'attesa, la sua ossessione aveva a che fare con "l'arte di spettare":  in un vicolo buio, in macchina nascosto dietro gli immancabili occhiali da sole, seduto ad un tavolino del CBGB:

 « Eccolo che arriva, tutto vestito di nero
Scarpe da portoricano, e un grosso cappello di paglia
Non è mai in anticipo, è sempre in ritardo
La prima cosa che impari è che devi sempre aspettare »
(I'm waiting for the man)

Qual'è il punto, quanto tempo si aspetta, o chi o cosa si sta aspettand? Entrambe le cose, risposta più sensata. Le cose si complicano quando si aspetta qualcosa che forse  non arriverà mai, che forse non succederà mai, e quando l'aspettare si trasforma in speranza..ci si logora, ci si esaspera..Ci si consuma.
Come Lou Reed, ho imparato bene  l'arte di aspettare , ma alla fine, soltanto di aspettare me stesso..

Adoro questo saggio autobiografico di Phillip Lopate, fine intellettuale americano, scrittore, giornalista, dal carattere burbero e scontroso, solitario, un pò moralista.. Particolari di vita quotidiana, stravaganze, aneddoti, diatribe. Un "grande pascolo di stile e individualità".



L'arte di aspettare

<< Una delle cose per cui io mi flagello più spesso e che non ho mai imparato a stare seduto per ore in un bar o in un caffè. A essere, insomma, un cliente abituale. Invidio la gente che ci riesce, perché chissà sembra appartenere senza sforzi a una comunità; nelle grandi città, poi, ogni sforzo in questo senso è da premiare. Ma anche quando provo a starmene li con le mani in mano, grazie a un libro o a un giornale, l'impazienza mi costringe ad alzare le chiappe dopo un'ora appena. A quanto pare mi manca quello che Walter Benjamin chiamava "la passione per l’attesa, senza la quale non si può apprezzare fino in fondo il fascino di un caffe". In parte e fisiologico: ricevo un segnale dal mio gluteus maximus che dice: "Allora andiamo?" E quando l’impazienza muscolare non mi sprona, lo fa la paura di annoiarmi. Il cameratismo tra habitué in un bar o in un caffe dall'esterno potrà sembrare allettante, eppure a un profano come me, che non ha mai scoperto il trucco per starsene seduto a fare quattro chiacchiere, risulta spregevolmente angusto. Perfino da ragazzo trovavo al di la delle mie forze bighellonare all'angolo con i miei coetanei. Non ho mai fatto parte di un gruppo di boy scout o di una gang o di una confraternita universitaria o di un club, tanto sono allergico al chiacchiericcio di gruppo. Perciò avrete capito che non ho nemmeno la pazienza per diventare alcolista. (Ci vuole una grande remissività per buttare giù un drink dopo l'altro: aiuta anche una discreta tolleranza sociale e un posteriore coriaceo.) La gente dubita che io sia uno scrittore solo quando dico che non bevo: chissà perché gli scrittori dovrebbero fare tirocinio al bancone del bar. Pensate a quante commedie avrei potuto scrivere se fossi riuscito a frequentare qualche bettola, assorbendo il dialogo tra gli avventori con le loro vite sprecate e i loro progetti assurdi. A volte, davanti al pub, mi fermo a fissare al di la dei vetri oscurati i clienti che se la ridono in un cantuccio. Un paio di volte l'anno mi costringo a entrare, per sorseggiare una birra e guardare la partita in televisione, cercando di entrare in sintonia. Ma non appena uno sconosciuto comincia a raccontarmi la storia della sua vita, apostrofandomi con immeritata tenerezza un attimo prima e arbitrario disprezzo un attimo dopo, mi viene voglia di darmela a gambe levate. Ovviamente l'ubriacone te lo legge negli occhi, poco importa quante pinte s'è scolato. Come ha spiegato un vecchio beone, con una specie di stupore compassionevole verso entrambe le posizioni:

”Capisco che... la gente che non beve... trova la gente che beve... ubriaca". Ma non sono solo i patiti dell’alcolismo che fatico a tollerare tanto a lungo da diventare un cliente fisso. La fregola mi prende anche nei caffè. Ci vuole un certo aplomb filosofico per starsene seduti ore e ore davanti a una scacchiera, aspettando che passi qualcuno per finire la partita. Me ne ricordo tanti di artigiani di indifferenza bohémienne negli anni Cinquanta: è un'arte che sta sparendo. Be’, mi dico, quella pigrizia non fa certo parte del DNA americano. Abbiamo bisogno di muoverci, di fare qualcosa. Anche se i saggi orientali spesso caldeggiano l'atarassia, io ho un'etica del lavoro troppo sviluppata per maneggiare quella disciplina. Perfino a casa, da solo, mi sembra quasi impossibile stare con le mani in mano: devo scrivere lettere, pagare le bollette, fare telefonate, leggere, guardare il telegiornale... Eppure c'è qualcosa nei caffè che continua ad affascinarmi. Quello che mi fa invidia non è il caffè per come si presenta oggi, con la sua aria di studiata indolenza, ma l'istituzione per come fioriva un tempo, nel '600 e nel '700. I caffè di Londra giocarono un ruolo importante nella vita intellettuale del tempo: le ultime pièce teatrali, le satire, ‘i pamphlet politici venivano fatti girare, discussi e a volte perfino scritti lì; le battute di Swift o Goldsmith nascevano in quei luoghi, e così partiva il passaparola; i bollettini di Addison e Steele, il Tatler e lo Spectator, nascevano tra la folla dei caffè. I loro primi numeri erano suddivisi secondo i caffè in cui le loro eminenze grigie si ritrovavano; le novità politiche da un ambiente, le chiacchiere letterarie da un altro, la religione e le mode da altri ancora. A quei tempi non solo i perdigiorno ma anche i più vitali e attivi e prolifici membri della società frequentavano i bar. Era un dovere e un piacere sociale passarci un po’ di giornata: sapevi sempre quali amici poteva capitare di incontrare in un certo posto a una data ora. A pochi di noi è concesso di vedere i propri conoscenti tutti i giorni. Forse Vedresti un amico in modo diverso se dovessi incontrarlo in circostanze casuali sei volte alla settimana. Ma . perché parlare solo degli amici? Senza luoghi di ritrovo come quelli diventa più difficile seguire in modo dettagliato la vita dei nemici, dei rivali e di tutti quelli che ci lasciano indifferenti. Palloni gonfiati, atteggiati, manigoldi, Scribacchini, talenti sprecati e personaggi eccentrici affollano le pagine della letteratura inglese del diciassettesimo e diciottesimo secolo, e vengono descritti con quella tranquilla e dispregiativa larghezza di vedute che può derivare solo dalla consapevolezza del ruolo fondamentale che questi personaggi marginali giocano nella vita di tutti. Il caffè, così come il salon francese (che non è per niente sparito), costituiva un laboratorio eccellente per l'investigazione delle tipologie umane. Non per niente lo studio dei personaggi salì alla ribalta come forma letteraria proprio in questo periodo: “Le Vite dei poeti” di Johnson (in particolare la sua biografia di Savage), lo stesso capolavoro di ritrattistica di Boswell, tanto legato al contatto quotidiano con i suoi soggetti, i romanzi sociali di Fielding o, dall'altra parte della Manica, i Caratteri’ di La Bruyère e Il nipote di Rameau di Diderot: queste opere osservano il campo specifico della natura umana sia come individualità che come tipologie rappresentative invitate ad assumere un ruolo nella pubblica arena. Se vogliamo credere alle descrizioni che ci sono pervenute, all'inizio il caffè aiutò a promuovere l'uomo come animale sociale, con un vivace interesse per il mondo e una responsabilità politica attiva. Il successivo declino di questo tipo di attività civica, insieme o in parte per la diminuzione dei luoghi pubblici e dei punti di incontro, ha costretto l'uomo nellasfera privata (...)
A me manca lo Sitzfleisch, ola capacità di starmene seduto. Mi sembra anche difficile, conoscendo la mia natura 'competitiva' , fare da spettatore a un gruppo rumoroso e brillante, aspettando di buttare lì qualche bon mot in mezzo a tutti quei discorsi. Anche se il circolo dell'Algonquin rinascesse domani con una sedia pronta per me, e le chiacchere fossero particolarmente sofisticate e maligne, probabilmente mi sentirei troppo minacciato per restarci a lungo. Temo di trovare più interesse a dispiacermi perchè il mondo contemporaneo mi ha deprivato di queste tavole rotonde intellettuali, di quanto ne avrei a parteciparvi se ne avessi l'occasione.

27/04/13

Saint Julian

"Julian Cope, gli occhi verdi e vivi, esce nell’aria del primo mattino. E' vestito in maniera semplice e cammina in maniera non ricercata: promette qualcosa di nuovo. Qualcosa di speciale. Troppi, troppi Teardrop sono caduti, scomparendo per sempre. Gli amici di un tempo sono lontani. E' rimasto solo, col suo dolore e la sua malinconia. Ho chiesto a Julian:
«Ti senti solo?» «Lo sono, amico mio», mi ha risposto. «Ho giocato troppo con questo mondo». Ecco qua. Lo lascio dove si sente più a suo agio. Negli angoli più remoti della tua mente. Nella gabbia dell’orso, con delle lance nel fianco.
Un tumore con un senso dell'umorismo.."

<<Avete presente quella sensazione di quando vi raccontano una cosa che vi sembra di conoscere già, come se ve la ricordassero e basta?
Be’, io cominciavo a muovermi su quel terreno. Vivevo come una specie di Gollum sotterraneo, ma con una spina dorsale incredibilmente forte e dritta. In qualche corridoio oscuro della mia anima, il mio senso di unicità era ancora portentosamente intatto. Anche se a volte mi si stralunavatno gli occhi, decisi di venire a patti con lo sfacelo della mia vita a modo mio. Avevo visto diversi esempi di ciò che la società considerava buono o cattivo. E quella cosa non mi piaceva.
Volevo ridefinire cos’era il Bene, ed ESSERLO. Ero ormai deciso. Mi sarei sottratto al male a modo mio. Non mi sarei mai rifugiato nella religione per risolvere i miei problemi. E non sopportavo l’idea di nascondermi nell’emisfero crepuscolare di nuovi culti come EST o Dianetics.
Andavo regolarmente a visitare il Tumulo di Alvecote. Era un luogo che mi era caro proprio come i giocattoli della mia infanzia. Rappresentava la pace e l’innocenza, un tempo anteriore a ogni mia consapevolezza.
Avevo cominciato a odiare la conoscenza. Ah. Che senso hanno le informazioni se non è possibile trarne qualche insegnamento? Le informazioni ti riempiono il cervello come i fast food ti riempiono lo stomaco. Ti senti pieno e sei contento, come se avessi realizzato qualcosa. Negli ultimi anni avevo trangugiato così tanti fast food che non avevo ancora cominciato a digerirli.
Chiaramente, il mio cervello era troppo pieno di novità e di informazioni culturali perché la conoscenza mistica potesse attecchire davvero. Me la prendevo con me stesso, senza dare alla mia parte più interiore la minima possibilità di lottare. Il mio lato cinico voleva risultati immediati, che mi dimostrassero che valeva la pena continuare. I cinici non sono stanchi del mondo, al contrario. Sono esseri umani immaturi che pregiudicano le situazioni ancor prima di viverle. Per questo motivo, non le vivono affatto, ma si ritrovano con un facsimile di quel che credevano sarebbe accaduto. Ero come un cronista del «Sun» a cui non interessa affatto vedere le cose coi propri occhi, perché crede di sapere in anticipo come sarà la scena. Io ero cinico e pieno di presunzioni. Il cinismo non è un surplus: d'esperienza: annienta la vera esperienza. È una chiusura mentale che elimina l'esperienza autentica. Infatti, è possibile toccare traguardi mistici in molti, banalissimi modi. La musica, per esempio. Un curioso e attraente individuo del sesso opposto. L’odore di un particolare cibo fuori stagione. E' sempre su cose semplici come queste che il cinico getta il suo velo, considerandole al di là di un' "esperienza" valida. Come un giornalista di musica rock che recensisce i suoi album preferiti in uscita su CD, ma che non può esprimere il proprio entusiasmo, il cinico se la prende col mondo perché non è come supponeva lui, e la prima causa è la scarsa informazione che ha ricevuto. Ecco, io ero così...
Il fallimento di Trampolene e il successo di Saint Julian avevano confuso quelli della Island (Records), ma io ero sodisfatto dei risultati. Così quando mi dissero che volevano un altro singolo e un nuovo video, la presi come una scusa per andarmi a comprare ..un bel pò di giocattoli.. >>

Repossessed









Black Sheep_1
Black Sheep_2

25/04/13

25 Aprile: Uomini ex

Aggiungi uno straccio al manganello e molti diranno che è una bandiera..
Non ogni notte termina con l'alba..Bisogna continuamente ricominciare dalla fine..

Non avevo ancora cinquant'anni e già mi sentivo candela consumata, senza ruolo e prospettiva. Oggi in Italia non c'era più.. Occupazioni alternative, niente. Passavo le giornate a casa nell'avvilimento, inoperoso per la prima volta da quando ero ragazzo. Il compagno Verdi mi rassicurava: presto sarai rimpatriato. Finalmente. Ma quando? Con un lavoro? Quale? Dove? In commissione non ne sapevano molto: da Botteghe Oscure solo vaghezze, accenni all'eventualità di un mio impiego all'Unipol, compagnia di assicurazioni controllata dal partito (...)
In aprile, due giorni dopo l'innalzamento del prosovietico Husàk al posto di Dubçek, rondine con le ali mozzate, il via alla partenza , prima destinazione Botteghe Oscure. Anche per Martha l'uscita dall'incubo. Preparammo il trasloco alla svelta. Il tempo restante l'avremmo dedicato a visite di congedo, passammo l'ultima domenica a Hvèzdonice, da Aristide, sempre in forza a <Ceskoslovènsky' Zivot> ma retrocesso a traduttore (e sotto una censura occhiuta) : il suo vecchio direttore Solar, ebreo sopravvissuto a Terezìn, se n'era fuggito in Svizzera. Ci venne incontro alla fermata del trenino, la nostra visita gli dava sollievo. Breve la sosta al casale, avremmo pranzato in montagna, partimmo subito. - Ti andrebbe - propose dopo un poco a Pietrovlada, - di arrivare a un passagio di caprioli e cervi? - Il bambino si illuminò. Salivamo con bastoni d'appoggio, ci entrava in petto un penetrante profumo di resina. Vicino alla cima Aristide si fermò affaticato, un calcagno gli doleva per un becco d'artrosi. Io ansimavo, e ora, diagnosi recente, sapevo bene perchè: enfisema. - Incontrarsi alla nostra età - scherzai - più che un incontro di uomini, è quasi sempre un incontro di cartelle cliniche - . Sorrise, ma era una smorfia. Prese per mano il bambino e gli parlò, l'intratteneva facendogli discorsi da grande: - Devi fare attenzione, Pietrovlada, a come si combinano i rami dei pini, le punte degli abeti, le quercie ingiallite. C'è una fantasia architettonica, nella composizione di un bosco. Un'architettura mutevole secondo i luoghi e le stagioni. E pensa tu, - caustico, scarmigliandolo con gesto di carezza, - abeti, pini, meli nascono, crescono, fioriscono, fruttificano senza aspettare , sciagurati, le direttive del Comitato Centrale cecoslovacco. L'avresti mai detto? - A pochi passi, due caprioli, non curanti di noi. Pietrovlada li rincorse felice. Dopo mangiato, ci rimettemmo in cammino, sulla via del ritorno. Era un pomeriggio chiaro, quasi l'annunzio dell'aprile italiano. Per un tratto tacemmo, ognuno dentro un suo giro di pensieri. Chissà, nell'ora del comitato anche Aristide era spinto, com'ero spinto io, a rovistare il passato, vent'anni di percorso comune, le certezze dell'inizio, i momenti esaltanti, idilli, battaglie, occasioni di felicità nel privato, traversie, ferite immedicabili. Rallentò, si stancava facilmente, vecchio più dei suoi anni. Prese Martha sottobraccio, le sorrideva, ma nell'occhio gli durava un' ombra, c'era nelle sue parole, come da tempo gli succedeva, una contaminazione di dramma e d'ironia svejkiana: - Ricordi, Martha? Franco e io sognavamo che il socialismo avrebbe addirittura creato l'uomo nuovo, e guarda un pò me. Mi ritrovo soltanto ad essere  l'uomo ex. Ex tutto. Cacciato dal Partito comunista ceco quale <revisionista e opportunista di destra>. Dunque ex tesserato comunista. Cacciato dall'Associazione dei giornalisti. Ex giornalista. Anche l'Associazione dei cacciatori mi ha messo alla porta (del resto un mio amico del ministero degli esteri è stato espulso per opportunismo di destra dall'Associazione filatelici). Insomma, quanto a fortuna, potrei vestire i panni dell'Amleto di Petrolini:< Se qualche volta in festa io ballo| la mia compagna mi pesta un callo.| Monto in vettura| muore il cavallo| Se vado a Messina| ci viene il terremoto>. Sono persino un ex marito. E sento prossimo il giorno che anche il cuore affaticato mi dirà:< Ma vaffanculo, Aristide. Hai abusato di me. Sciopero generale. Arterie, ventricoli, coronarie, alt, basta!>. Ex Aristide. Ex in eterno. Sino a quando verrà un nuovo Einstein a svelarci che financo l'eternità è molto relativa.. The end. Giù il sipario, compagno. Ex totale. Ci salutammo tenendoci abbracciati a lungo. Il giorno finiva con nubi tinte di rosso calante..

Sul finire degli anni Quaranta, 466 partigiani comunisti italiani, di cui la maggior parte del triangolo rosso emiliano, per sfuggire al carcere cui sono condannati dalla giustizia italiana, espatriano in Cecoslovacchia, a Praga. Si lasciano alle spalle anni di lotta ed episodi mai chiariti di cui ancor oggi si discute con fatica e dolore..


Uomini ex, Giuseppe Fiori


19/04/13

Del sentimento di non esserci del tutto: Cortàzar

<Per tante cose sarò sempre come un bambino, ma uno di quei bambini che fin dall' inizio portano dentro di sé l’adulto, in maniera che quando il mostriciattolo diventa adulto davvero succede che a sua volta questo porta dentro di sé il bambino, e nel mezzo del cammin si verifica una coesistenza raramente pacifica fraalmeno due aperture sul mondo.
Tutto ciò può essere inteso in senso metaforico ma comunque è indice di un temperamento che non ha rinunciato alla visione puerile come prezzo della visione adulta, e questa giustapposizione che crea il poeta e forse il criminale, e anche il cronopio e l’umorista (questioni di dosaggi diversi, di tronche e di sdrucciole, di scelte: ora gioco, ora uccido), si manifesta nel sentimento di non esserci del tutto in nessuna delle strutture, delle tele che tesse la vita e in cui siamo al tempo stesso ragno e mosca.
Molti miei scritti vanno catalogati sotto il segno dell'eccentricità, visto che fra vivere e scrivere non ho mai ammesso una netta differenza; se, vivendo, riesco a dissimulare una partecipazione parziale alla mia circostanza, non posso invece negarla in quello che scrivo dato che scrivo proprio perché non ci sono o perché ci sono a metà. Scrivo per difetto, per dislocazione; e siccome scrivo da un interstizio, non faccio che invitare gli altri a cercare i propri e a guardare, attraverso questi, il giardino in cui gli alberi hanno frutti che ovviamente sono pietre preziose. Il mostriciattolo non demorde (...)

..E mi piace, e sono terribilmente felice nel mio inferno, e scrivo. Vivo e scrivo minacciato da questa lateralità, da quella parallasse effettiva, da questo essere sempre un po’ più a sinistra o più sul fondo rispetto al posto in cui si dovrebbe essere perché tutto si risolva in modo soddisfacente in un altro giorno di vita senza conflitti. Fin da piccolissimo ho assunto, a denti stretti, quella condizione che mi divideva dai miei amici e al tempo stesso li attirava verso chi era strano, chi era diverso, chi infilava il dito nel ventilatore. Non ero privo di felicità; l’unica condizione era coincidere di tanto in tanto con qualcuno che come me non si adattava in pieno all’etichetta che aveva cucita addosso (il compagno, il tipo eccentrico, la vecchia pazza), e di certo non era facile; ma ben presto scoprii i gatti, nei quali potevo immaginare la mia stessa condizione, e i libri, dove la ritrovavo in pieno. In quegli anni avrei potuto ripetermi i versi, forse apocrifi, di Poe:

From childhood's hour I have not been
As others were; I have not seen
As others saw; I could not bring
My passion from a common spring..

Ma quello che per lo scrittore della Virginia (in realtà Poe nacque a Boston, Massachusetts e si trasferì poi a Richmond, in Virginia..) erano stigmate (luciferine, ma proprio per questo mostruose) che lo isolavano e lo condannavano,

And all I love, I loved alone

non mi allontanavano da coloro il cui universo rotondo condividevo solo in maniera tangenziale. Sottile ipocrisia, predisposizione per tutti i mimetismi, tenerezza che superava i limiti e me li dissimulava; le sorprese e le afflizioni della prima età si tingevano di piacevole ironia. Ricordo: a undici anni prestai a un compagno Il segreto di Guglielmo Storitz dove Jules Verne mi proponeva, come sempre, un rapporto naturale e intimo con una realtà per niente diversa da quella quotidiana. Il mio amico mi restituì il libro: <<Non l’ho finito. È troppo fantastico>>. Non dimenticherò mai la sorpresa scandalizzata di quel momento. Fantastica l’invisibilità di un uomo? Dunque, potevamo incontrarci solo nel calcio, nel caffellatte, nelle prime confidenze sessuali?. .>

Julio Cortàzar, Il giro del giorno in ottanta mondi


Poesia - Poetry - Lyric

Questa notte mi basta la tua silenziosa presenza.
nella miamente sconvolta
la tua poesia illumina più di una lampada
i miei cerchi di paura

Non mi distraggo
Tengo fisso gli occhi sulla nera finestra
Passano autocarri pieni di soldati,
gente dalle linee del fuoco
nella mia casa risuonano parole d'ordine violente

Il giusto tempo umano
Heberto Padilla

A volte i poeti partono per un viaggio,
e allora indossano berretti scuri, sandali o sciarpe
Salutano ansiosi
e fornicano con le donne più belle e fantasticate
poi passeggiano e scrivono
lunghissimi servizi
che le riviste importanti non pubblicano mai
Ma altre volte soffrono, vengono rinchiusi
in prigione, con un compagno
mangiano salsicce, cipolle, pane e patate fritte
I poeti, decisamente, conoscono molte cose
nei loro viaggi:
qualcuno mi avvertì
abbandonando una nave a Copenhagen

Appunti per un breve viaggio
Cèsar Lopez

Madre Rivoluzione che sei nel seme
sia divoratrice la tua fiamma nel mezzogiorno dell'abitato,
sia inteso il tuo segnale dagli umili che ancora
ignorano l'alfabeto e fedeli attendono
la resurrezione della carne
Insegnaci a coltivarti nella nostra stessa forza
a portarti avanti, nonostante i vecchi scoraggiamenti
ricredendoci e rinnegando più di tre volte,
se fosse necessario, i nostri terribili atavismi..

Trovato fra carte dell'anno 1959
Luis Suardìaz

E se il pianto ti viene a cercare
affrontalo, bevi fino in fondo
il calice di lacrime legittime
Piangi, piangi finalmente un pianto
di verità, faccia a faccia con il tempo
che manipolavi abilmente
piangi le disgrazie che credevi altrui
la solitudine senza remissione ai piedi del fiume
la colpa della paceimmeritata
il riposo di pance piene di pandolce
Piangi la tua infanzia svilita dal cinema e dalla radio
la tua adolescenza negli angoli del disgusto, la cricca,
l'amore senza ricompensa,
piangi la gerarchia, il campionato, la bistecca al sangue,
piangi la tua nomina o il tuo diploma
che ti hanno rinchiuso nel benessere o nella disgrazia,
che nella pianura più immensa ti hanno legato al palo
di un piccolo terreno pagato a rate trimestrali

E se il pianto ti viene a cercare..
Julio Cortàzar

17/04/13

Donne mito: Monika Ertl ( La donna che vendicò il Che )

La storia eccezionale di Monika Ertl, la donna guerrigliera che raggiunse e uccise - a Berlino - Roberto Quintanilla, tra i killer di Ernesto Guevara. Alla fine degli anni Sessanta tutto cambiò con la morte del Che Guevara, tagliò le sue radici per entrare completamente nella militanza, impugnando le armi con la Guerriglia di Ñancahuazú. Per la vendetta, nessun cammino è lungo…

Ad Amburgo, Germania, erano le dieci meno venti della mattina del 1 aprile 1971; una bella ed elegante donna dai profondi occhi color del cielo entra nell’ufficio del console della Bolivia ed attende, pazientemente, di essere ricevuta. Mentre fa anticamera, guarda indifferente i quadri che adornano l’ufficio; Roberto Quintanilla, console boliviano, vestito elegantemente con un abito scuro di lana, entra nell’ufficio e saluta, colpito dalla bellezza di questa donna che dice di essere australiana e, qualche giorno prima, gli aveva chiesto un incontro. Per un istante fugace, i due si trovano faccia a faccia; la vendetta appare incarnata in un volto femminile molto attraente. La donna, dalla bellezza esuberante, lo guarda fisso negli occhi, senza dire una parola estrae un revolver e spara tre volte; nessuna resistenza, nessun combattimento, nessuna lotta, i colpi vanno a segno. Nella fuga, la donna lascia alle sue spalle una parrucca, la sua borsa, la sua Colt Cobra 38 Special ed un foglio sul quale si legge “Victoria o muerte. ELN”.

Chi era questa donna audace e perché ha assassinato “Toto” Quintanilla?

Nella milizia guevarista c’era una donna che si faceva chiamare “Imilla” che, in lingua quechua e aymara significa Bambina o giovane indigena (oggi, in Bolivia, è considerato un insulto); il suo nome vero era Monika Ertl, tedesca di nascita, aveva compiuto un viaggio di undicimila chilometri dalla sperduta Bolivia con l’unico proposito di assassinare un uomo, il personaggio più odiato dalla Sinistra mondiale: Roberto Quintanilla Pereira. A partire da quel momento, ella divenne la donna più ricercata del mondo, conquistò le prime pagine dei quotidiani di tutta l’America; quali erano le sue ragioni e quali le sue origini?

Torniamo al 3 marzo 1950, data nella quale Monika era giunta in Bolivia con Hans Ertl, suo padre, attraverso quella che sarebbe divenuta nota come “la ruta de las ratas” (la via dei ratti, N.d.T.) , il “sentiero” che facilitò la fuga di membri del regime nazista verso il Sudamerica al termine del conflitto armato più grande e sanguinoso della Storia universale: la Seconda Guerra Mondiale.
La storia di Monica ha potuto essere ampiamente raccontata grazie alle ricerche di Jürgen Schreiber, ciò che vi presento io è solo una pennellata di questa appassionante storia che coinvolge molti sentimenti e personaggi.

Hans Ertl (Germania, 1908-Bolivia, 2000) alpinista, innovatore di tecniche sottomarine, esploratore, scrittore, inventore e realizzatore di sogni, agricoltore, convertito ideologico, cineasta, antropologo ed appassionato etnografo, raggiunse molto presto la notorietà ritraendo i dirigenti del Partito Nazionalsocialista quando filmava la maestosità, l’estetica corporale e la destrezza atletica dei partecipanti ai Giochi Olimpici di Berlino (1936), sotto la direzione della Leni Riefenstahl , che glorificò i nazisti. Tuttavia ebbe l’inconveniente di essere conosciuto per la Storia (e per sua successiva disgrazia), come “il fotografo di Adolf Hitler”, benché l’iconografo ufficiale del Führer sia stato Heinrich Hoffman, delle SS; alcune fonti affermano che Hans sia stato incaricato di documentare le zone d’azione del reggimento del famoso Feldmaresciallo Erwin Rommel, detto la Volpe del Deserto, durante la sua traversata verso Tobruck, in Africa. Per citare un dato curioso, Hans non aderì al Partito Nazionalsocialista ma, nonostante aborrisse la guerra, esibiva con orgoglio la giubba disegnata da Hugo Boss per l’esercito tedesco, come simbolo delle sue gesta di allora e della sua eleganza ariana; detestava essere definito “nazista”, non aveva nulla contro i nazisti ma neppure contro gli Ebrei. Per ironico che sembri, fu anch’egli vittima delle Schutzstaffel.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Quando i Terzo Reich crollò, gerarchi, collaboratori e persone legate al regime nazista fuggirono dalla giustizia europea rifugiandosi in diversi paesi, fra i quali quelli del continente sudamericano, con il beneplacito dei loro rispettivi governi e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti. Si dice che Hans fosse una persona molto pacifica e che non avesse nemici, così scelse di restare in Germania per un periodo, lavorando con mansioni inferiori a quelle adatte alla sua condizione, fino a quando emigrò con tutta la sua famiglia; andarono prima in Cile, nell’arcipelago australe di Juan Fernández, “affascinante paradiso perduto”, dove realizzò il documentario (1950) e portò avanti altri progetti.

Dopo un lungo viaggio, Ertl, nel 1951, giunse a Chiquitania, a 100 chilometri dalla città di Santa Cruz; vi arrivò per stabilirsi nelle prospere e vergini terre come un conquistador del XV° Secolo, fra la fitta ed intricata vegetazione brasiliano-boliviana, in una proprietà di tremila ettari dove costruì, con le sue mani e con materiali locali, quella che sarebbe stata la sua dimora fino ai suoi ultimi giorni:“La Dolorida”. Il vagabondo della montagna, come lo chiamavano esploratori e scienziati, se ne andava in giro con il suo passato sulle spalle, attraverso l’immensa natura, con lo sguardo avido di sviscerare e catturare con l’obbiettivo tutto ciò che percepiva del suo ambiente magico in Bolivia, mentre iniziava una nuova vita accompagnato da sua moglie e dalle sue figlie; la maggiore si chiamava Monika, aveva quindici anni quando iniziò il loro esilio e, qui, inizia la sua storia…

Monika aveva vissuto la sua infanzia nell’effervescenza del nazismo della Germania e, quando emigrarono in Bolivia, apprese l’arte di suo padre, che le fu in seguito utile per lavorare con il documentarista boliviano Jorge Ruiz. Hans realizzò, in Bolivia, diversi film (Paitití e Hito Hito) e trasmise a Monika la passione per la fotografia; di certo, possiamo indicarla come donna pioniera delle realizzatrici di documentari nella storia della settima arte. Monika crebbe in una cerchia tanto chiusa quanto razzista, nella quale spiccavano sia suo padre, sia un altro sinistro personaggio, che lei si abituò a chiamare, con affetto, “lo Zio Klaus”, un imprenditore tedesco (Klaus Barbie 1913 – 1991), ex capo della Gestapo a Lione (Francia), meglio noto come “Il macellaio di Lione”.
Klaus Barbie aveva cambiato il suo cognome in “Altmann” prima di legarsi alla famiglia Ertl; fu lo stesso padre di Monika ad introdurlo nel ristretto circolo di personalità, a La Paz, dove si guadagnò abbastanza fiducia e, sempre Hans, gli procurò il primo impiego in Bolivia, come cittadino ebreo tedesco, del quale si dice che abbia fornito consulenze ad alcune dittature sudamericane. La celebre protagonista di questa storia si sposò con un altro Tedesco, a La Paz e visse presso le miniere di rame nel nord del Cile ma, dopo dieci anni, il suo matrimonio fallì e lei divenne un’attivista politica, appoggiando cause nobili; fra l’altro, contribuì a fondare un ospizio per orfani a La Paz, ora trasformato in ospedale. Visse in un mondo estremo, circondata da vecchi lupi torturatori nazisti, era abituata ai contrasti; tuttavia, la morte del guerrigliero argentino Ernesto Che Guevara nella selva boliviana (ottobre 1967), aveva per lei significato la spinta finale verso i suoi ideali. Monika, secondo sua sorella Beatriz, “adorava il Che come fosse un dio”. In seguito a ciò, la relazione tra padre e figlia divenne difficile, per la combinazione di quel fanatismo unito ad uno spirito sovversivo, fattori forse scatenanti che generarono un atteggiamento combattivo, idealista e perseverante. Suo padre fu il più sorpreso di tutto questo e, per quanto a malincuore, la cacciò dalla tenuta; forse, questa sfida negli anni Sessanta, causò in lui una certa metamorfosi ideologica, tanto da trasformarlo in collaboratore e sostenitore indiretto della sinistra in Sudamerica.

“Monika fu la sua figlia preferita, mio padre era molto freddo nei nostri confronti e lei sembrava essere l’unica che amasse. Mio padre nacque come risultato di uno stupro, mia nonna non gli dimostrò mai affetto e questo lo segnò per sempre; l’unico affetto che dimostrò, fu per Monika”, disse Beatriz in un’intervista alla BBC News (quí)

Alla fine degli anni Sessanta, con la morte del Che Guevara, tutto cambiò: tagliò le sue radici ed impresse una svolta drastica alla sua vita, per dedicarsi completamente alla militanza, impugnando le armi con la Guerriglia di Ñancahuazú, come fece il suo eroe, per combattere la disuguaglianza sociale. Monika smise di essere quella ragazza appassionata di fotografia per diventare “Imilla la rivoluzionaria”, rifugiata in un accampamento sulle colline boliviane; man mano che la maggior parte dei suoi compagni cadevano, il suo dolore si trasformò in forza per pretendere giustizia e lei divenne una figura chiave nell’ELN. Nei quattro anni durante i quali restò nell’accampamento, scrisse a suo padre una sola volta l’anno, per dirgli testualmente “non preoccupatevi per me… sto bene”; purtroppo, non l’avrebbe mai più rivista, né viva, né morta. Così, nel 1971, attraversa l’Atlantico, torna nella sua Germania natale e, ad Amburgo, giustizia personalmente il console boliviano, il colonnello Roberto Quintanilla Pereira, responsabile diretto dell’ultimo oltraggio a Guevara: l’amputazione delle mani, dopo la sua fucilazione a La Higuera. Con quella profanazione, Quintanilla aveva firmato la sua sentenza di morte e, da allora, la fedele Imilla si propose una missione ad altissimo rischio: giurò che avrebbe vendicato il Che Guevara.

Dopo l’esecuzione, sarebbe iniziata una caccia attraverso paesi e mari, che terminerà solo quando Monika, nel 1973, cadde, uccisa in un’imboscata tesale, secondo fonti fidate, da suo “zio”, il traditore Klaus Barbie. Dopo la sua morte, Hans Ertl continuò a vivere e girare documentari in Bolivia, dove, nel 2000, morì all’età di novantadue anni, nella sua tenuta ora trasformata in museo grazie ad alcune istituzioni di Spagna e Bolivia; là è sepolto, con la sua vecchia giubba da militare tedesco, sua fedele compagna degli ultimi anni. Il suo sepolcro si trova tra due pini ed è fatto con terra della sua Baviera, lui stesso si fece carico di prepararlo e sua figlia Heidi realizzò le sue volontà; Hans, in un’intervista concessa all’Agenzia Reuters, aveva detto: “Non voglio tornare nel mio paese. Anche da morto, voglio restare in questa mia terra”.

Si dice i resti di Monika Ertl riposino “simbolicamente” in un cimitero di La Paz; in realtà non furono mai riconsegnati alla sua famiglia, le richieste furono sempre ignorate dalle autorità e si trovano in qualche luogo sconosciuto della Bolivia, giacciono in una fossa comune senza croce, senza nome e senza una benedizione di suo padre. Così è stata la vita di questa donna che, secondo la destra fascista di quegli anni, ha militato combattendo “nel comunismo” e pertanto “nel terrorismo” in Europa; per alcuni il suo nome è rimasto inciso nei giardini della memoria come guerrigliera, assassina o forse terrorista, per altri come donna coraggiosa che ha compiuto una missione. A mio parere, è la costola femminile di una rivoluzione che ha lottato per le utopie della sua epoca e che, vista con i nostri occhi, ci obbliga a riflettere ancora una volta su questa frase:

“Mai sottovalutare il coraggio di una donna”

Nina Ramon: http://clubdelilith.com

Traduzione a cura di Gorri da http://www.lahaine.org

16/04/13

Grateful Dead, l'armata lisergica dal Mars Hotel

Come potevamo concludere la nostra cavalcata psichedelica senza i Grateful Dead , monumento vivente alla cultura hippie, avanguardia dell’Armata Lisergica che lungo gli anni hanno portato <<il messaggio>> per continenti e strani luoghi mentali, dimentichi di ogni legge o limite, terrestre o altre? Ultima band acida a mantenersi integra dagli anni della grande stagione psichedelica, i Dead hanno resistito a terremoti, disastri genetici, arresti per droga, cambi di formazione, centinaia di migliaia di cristalli d’acido, superato choc traumatici come la fine dell’Haight Ashbury e la più tangibile perdita dell’insostituibile Pigpen, << morto per troppa vita >> all’età di ventisette anni. Attraverso tutti questi cataclismi, il complesso si è mantenute fedele agli ideali delle origini, autogestendo i concerti, dividendo ‘comunisticamente’ i proventi fra musicisti, mogli e fidanzate e conservando la caratteristica immagine di << marziani >> amanti della tradizione. I figli del rinfresko elettriko hanno resistito anche alla decisiva tentazione del rock, diventare divi delle spettacolo, mantenendo integro il sublime equilibrio mentale anche in terre e luoghi dove la ragione vacilla. I Dead amavano raccontare le proprie origini con accento favoleso, come se qualcosa li avesse guidati ai margini del caos.

<< Un giorno eravamo tutti a casa di Phil, a fumare DMT >> racconta Gerry Garcia, ricordando come nacque il bizzarro norne del complesso. << C’era un grosso dizionario enciclopedico, lo aprii e mi apparvero GRATEFUL DEAD, due parole una sull’altra. Fu un momento emozionante, sai, come se l’intera pagina si oscurasse e poi si allargasse nello spazio, sino a dissolversi e restava GRATEFUL DEAD, grandi lettere nere contornate d’oro che mi abbagliavano. >>

Agli inizi, i cinque non erano altro che ragazzotti di periferia ma sotto il diluvio di Dylan, della soul music, e della Invasione Britannica, i Dead divennero uno dei primi complessi della scena rock californiana a suonare un collage di Beatles, Stones, Motown e Dylan,  vecchio blues e un pizzico di bluegrass. Col passar del tempo, lo stile si fece sempre più strano e violento, vero e proprio <<tuono sonoro>>; e un giorno, al culmine di quella stagione, l’incontro con Ken Kesey.- Kesey aveva partecipato ad esperimenti sull’acido lisergico all’Ospedale di Stato di California, trasferendo poi quell’<< esperienza >> nel più informale ambiente della sua casa di La Honda. Quelle feste all`LSD divennero presto gli Acid Tests: duemila persone che si consegnavano alla droga, che conoscevano folli cambiamenti, che levitavano, muovevano nello spazio, vibravano, mentre le band sounavano, i nastri ripetevano maniacalmente suoni selvaggi, le liquide luci stroboscopiche sprizzavano polvere color d’arcobaleno e i partecipanti scoprivano la quinta, la sesta, la millesima dimensione e sfilavano in uno spazio che prima era noto solamente a stregoni, pazzi, mistici e fantasmi.

Nel leggendario appartamento al 710 di Ashbury Street, centro di energia per una nuova cultura capace di prendere alla lettera le intuizioni fantastiche del rock, si scatenarono illusioni millenarie. I Trips Festival, i negozi liberi , i nuovi giornali come l‘Oracle, i manifesti del Fillmore, le rappresentazioni teatrali della Mime Troupe, il movimento dei Diggers, le feste danzanti al Family Dog, i Pranksters, le celebrazioni del solstizio d’estate, i Be-ln, i Love-In, tutto ruotava attorno ai complessi rock di San Francisco. I Dead erano il complesso dei figli dei fiori » e degli << sballati >> in cerca d’un legame cosmico.
Nonostante gli effetti chitarristici, gli accordi dal suono cosmico, le improvvisazioni di stampo jazz, i sibili elettronici, i collages alchemici, lo stile a meta strada fra Sun Ra e il R & B, il  country and western con il blues tradizionale, la loro musica era fondamentalmente hard rock che ruotava attorno alla pulsante chitarra di Jerry Garcia. Il gruppo tirava in lungo le composizioni, portando il concerto a limiti impossibili; un brano come Alligator poteva durare perfino due ore. Con un paradosso per la musica rock, I Dead era essenzialmente una band da ascoltare in concerto, artisti che detengono il segreto delle «buone vibrazioni », il flusso elettrico che corre tra chi suona e chi ascolta. Si è detto che i Dead «suonano il pubblico» e in effetti le loro esibizioni erano studi di energia e di dinamica del suono. La benigna presenza di Jerry Garcia brilla tra i componenti del complesso sino ad accecarli. È lui il sole di quel «sistema» , che a differenza di gruppi più legati ai canoni della psichedelia classica non ha mai cercato di riprodurre in suono l’esperienza dell’acido. La musica dei Dead è pietra miliare sul cammino lisergico che porta al centro dell’intimo spazio, dello spazio di morte. I loro seguaci, i Deadheads, sono forti di una fede tribale, credono che solo insieme quel punto possa esser raggiunto.
«Solo la forza spirituale collettiva può salvare il mondo» dice Jerry, citando l’I Ching, per aggiungere poi graziosamente: «Noi siamo solo musica incidentale nella celebrazione della vita».

Rock 80

Di Ken Kesey, dei  Pranksters, Acid Test e molto altro parla Carolyn Adams, moglie di Gerry Garcia e soprannominata..Mountain Girl.

Cresciuta a Poughkeepsie, New York, la giovane Carolyn Adams nel 1964 incontrò Neal Cassady (Dean Moriarty nell'On the Road di J. Kerouac) che la presentò a Ken Kesey e al gruppo dei Merry Pranksters (gli allegri burloni). Con loro negli anni '60 ha scorrazzato attraverso gli Stati Uniti sul bus dai mille colori psichedelici <Furthur>, con a bordo un frigo ben fornito di aranciata corretta al Lsd e altoparlanti per diffondere musica a tutto volume. Divenuta Carolyn Garcia dopo aver sposato il leader dei Grateful Dead, le è stato dato il soprannome di Mountain girl.


Ricordi il tuo primo trip?
Sì, avevo 17 anni, lavoravo alla Stanford University nel dipartimento di chimica organica. Il mio lavoro consisteva nel far funzionare una macchina chiamata spettrometro di massa, che faceva analisi chimica di campioni organici spediti da ricercatori da ogni parte del mondo. Il mio capo mi mostrò un giorno, un campione dal Nord Africa che un suo amico aveva estratto da una pianta di Iboga. Mi disse che era roba molto speciale, di trattarla con un di più di attenzione e che probabilmente era un allucinogeno. <Ah!, un allucinogeno> dissi tra me e me, era il '64, Life Magazine aveva appena pubblicato un articolo sugli allucinogeni e quindi aveva già qualche nozione in materia. Avevo letto quell'articolo attentamente, era molto interessante. Io ero piuttosto sveglia, abbastanza"selvaggia", e quello era il mio primo impiego lontano da casa. A 17 anni vivevo in un appartamento da sola ed ero indipendente. Quando è giunto il momento di analizzare quel campione ne mandai giù un bel pezzetto, e sono 'partita' veramente. Ho incasinato tutto nel laboratorio, non sono più stata capace di portare a termine l'analisi e il mio capo era furioso. Lavoravo di notte, tutta sola. La mattina mi hanno mandata a casa ma appena uscita dal laboratorio non sapevo più dove fossi. Non avevo nessuna memoria, neanche di essere stata là. In bicicletta dovevo fare 5 miglia attraverso la città fino al mio appartamento. Non sapevo nulla allora di A. Hofmann e roba simile.. Così sono montata in bici e lentamente, facendo molto attenzione, ho attraversato il campus di Stanford. Alla fine il mio corpo - non il mio cervello - ha ritrovato la strada di casa. Sono tornata al lavoro un paio di giorni dopo ma non potevo più far funzionare lo spettrometro. Avevo incasinato la mia memoria a breve termine, e lo è tutt'ora. C'erano 17 operazioni da compiere per inserire un campione da analizzare nella macchina, e io non riuscivo più ad eseguirle, neppure annotandomele su un foglio. Persi il lavoro.. piuttosto frustrante, ma poco dopo incontrai Ken Kesey e i Merry Prankster. Con loro mi ritrovai alla perfezione e passammo insieme diversi anni, con un sacco di avventure, gli Acid Test, i Trip Festival, viaggi in Messico..

Un giorno ti sei trovata a confrontarti con il capo degli Hell's Angels..
A uno dei suoi party Kesey invitò nel suo ranch a La Honda tutta la <sezione> di Oakland degli Hell's Angels. Immaginammo che quel party avrebbe potuto diventare piuttosto selvaggio, io avevo una moto, la guidavo ma ero una ragazza e questo non si era mai visto. Le donne non guidano motociclette. Gli Angels arrivarono sulle loro grosse moto, e a un certo punto proposi al capo degli Angels di S. Francisco di fare un giro insieme sulla sua moto, ma avrei guidato io. Lui mi fa: < Yeah, vediamo se ci riesci! >. E io lo feci. Siamo scesi giù lungo la strada per 10 miglia, con lui alle mie spalle preoccupato che gli sfasciassi la moto, ma non c'era alcun problema., ho le gambe belle lunghe e non c'era pericolo che potessimo cadere. Alla fine erano tutti molto sorpresi, nessuna ragazza aveva fatto una cosa simile prima.. ero proprio forte.

Gli Angels presero Lsd in quel party?
In effetti questo era il motivo centrale del party, volevamo che provassero 1’Lsd. Loro per lo più fumavano marijuana, mandavano giù barbiturici e bevevano un sacco di alcool. Birra, erba, avevano un sacco dì rituali legati al fumare erba, si passavano il joint in circolo e se capitava che te ne arrivavano due dovevi fumarli tutti e due. Se ti scordavi di farlo girare te 1o dovevi fumare per intero, Avevano anche un mucchio di piccole regolette per socializzare attorno al fuoco dell’accampamento, si raccontavano storie prodigiose, sono veramente dei “cantastorie” molto dotati.

Che impatto ha avuto l’Lsd sugli Angels?
Non del tutto positivo. Alcuni di loro lo odiavano. Parecchi non sono tornati mai più a trovarci, perché l’Lsd interruppe il loro feeling con gli altri del gruppo. Indossavano tutti questi strani vestiti neri e non potavano toglierseli, era parte delle loro regole. Ma se stai volando alto in acido e hai addosso questi giacconi pesanti, rigidi, e non puoi toglierteli senza andare contro le regole, questo per forza causa un po’ di conflitti. Siamo diventati buoni amici con quelli di loro più aperti, gli altri hanno passato un brutto quarto d’ora. Qualcuno ne prese una dose troppo forte e andò completamente fuori di testa, alcuni loro fratelli cominciarono a prenderli in giro e questi non la presero bene. Ma la maggior parte di loro penso siano stati veramente bene. Noi eravamo divertenti e ci divertivamo, lì abbiamo lasciati fare quello che volevano, senza cercare di guidarli o controllarli, solo guardando un pò che non si facessero male gli uni con gli altri. C’è stata qualche zuffa qualche discussione a proposito delle ragazze ..ci vollero tre giorni prima che se ne andassero tutti. La fattoria sta ancora là, una bella vecchia casa tra gli alberi. Ken l’ha venduta a qualcuno, io ora vivo in un altro stato, nell’Oregon, a 500 miglia da lì. Ma la fattoria sta ancora là e così gli alberi, ed è ancora molto bella.

E’ una casa privata?
Sì, la foresta alle sue spalle invece è un parco statale. L’autobus dei Merry Pranksters non è più là, sta in Oregon vicino a casa mia. La famiglia Kesey viene dall’Oregon, Ken viveva in California perché stava a Stanford, dopo si mise nei guai e finì in prigione. Dopo non volle tornate in California e tornò dalla sua famiglia in Oregon, dove acquistò una bella vecchia fattoria con un bel vecchio fienile. Hanno trasformato il fienile in una casa, è stupendo. Sua moglie vive ancora là.

E la tua famiglia?
Ho tre figlie, tutte grandi, di 41, 37, e 33 anni. Io ora scrivo, mi occupo del mio giardino, cresco il mio cibo. Vivo in campagna a circa 4 miglia dalla casa dei Kesey, siamo grandi amici. Parecchi altri Pranksters vivono nei paraggi. Ora faccio quello che veramente mi piace fare. Ho un cane, le mie piante, penso molto e lavoro a un libro. Ho già pubblicato un libro, spiega come coltivare marijuana biologica, è molto conosciuto, sono una specie esperta in materia. Il libro nuovo è invece sulla mia vita, una vita stupenda, istruttiva. Nel libro mi domando, che cosa ci interessa veramente? Ci interessa sapere perché gli esseri umani hanno grossi cervelli e di che cosa questi sono capaci. Perché, quando prendiamo delle sostanze psichedeliche, entriamo in contatto con altre dimensioni? Dove stanno, e quando, queste altre dimensioni? Perché tutto pare rimandare alla fisica quantistica? Forse l’universo è fatto essenzialmente di
coscienza e quello che vediamo è una sua costruzione? Qualcosa che creiamo noi per sentirci più a nostro agio fisicamente. È ovvio che c’è molto di più di quella che definiamo comunemente realtà. Il sistema finanziario, soldi e guerra, e tutta quella roba è solo apparenza, particelle, pensieri di immaginazioni malate, pensare sbagliato, cattiva fantasia, possiamo immaginare cose molto migliori se ci lavoriamo su. Di questo si occupa questa conferenza, lavorare sulla struttura della nostra immaginazione per avere la visione necessaria o quello che è necessario per immaginare un futuro migliore. Dobbiamo sognare sogni migliori. Alcuni dei vecchi sogni sono veramente orribili..


Hai mai conosciuto A. Hofmann?
No, lo andrò a trovare domani, forse. È l’aspirazione della mia vita incontrarlo; penso che sia un grande dono del cielo e mi chiedo che cosa abbia fatto per meritarmi un simile onore. Sarà un grande onore incontrarlo, una persona che non aveva alcuna idea di quello che sarebbe successo in seguito alla sua scoperta e tuttavia è stato così indulgente da accettare tutto quel caos. È stato molto coraggioso nel permettere che tutto questo influenzasse la sua vita senza scappare via, e ciò per me è sorprendente perché quella scoperta non era nelle sue intenzioni, ma forse era nei piani di dio...ho continuato a imbattermi in sorprendenti coincidenze lungo il percorso che mi ha portato fin qui, coincidenze in gente che ho incontrato...e quando inizi ad imbatterti in troppe coincidenze allora sai che sei sé sulla strada giusta verso qualcosa; le coincidenze ti dicono che stai attraversando un momento ricco diiformazioni, e devi prestare molta attenzione.

Perchè ti chiamano Mountain Girl? Perchè sei fisicamente grande?
Oh no! E’ una storia differente, quando mi sono unita ai Merry ‘Pranksters tutti avevano un soprannome, c'era Intrepid Traveler, Malfunction, Ken Kesey era Swash Bucklor, oppure «Chief»; 1o chiamavamo spesso Chief, i1 mio amico George era Hardly Visible, Neal Cassady era semplicemente Neal, così quando sono arrivata io e abbiano cominciato a parlare, loro erano dei bei ragazzi giovani, molto attraenti, e io ero
molto carina, e loro erano estremamente gentili con me perché volevano che restassi e quando mi chiesero dove vivevo, gli risposi "oh vivo lassù sulla cima di quella montagna là" e loro allora <tu devi essere Mountain Girl>. Io amo le montagna e  spero di riuscire a vedere le Alpi ora che sono qui. Dove stanno queste Alpi?..

interview M.D.F




From Mars Hotel


14/04/13

Gli Sciamani del deserto


Giornalista, scrittore e direttore editoriale del sito web www.realitysandwich.com, Daniel Pinchbeck, 42 anni, è autore di due libri, Breaking Open the Head-A Psychedelic journey into the Heart of Contemporary Shamanism (2002) e 2012, The Return of Quelzalcoatl (2006)

Intervista di M.De Feo

Sei venuto a contatto con sciamani sia in Africa che in Amazzonia..
Ho iniziato a interessarmi a questi argomenti poco prima dei 30 anni, facevo il giornalista a New York, scrivevo per giornali come The New York Times Magazine, Esquire, Wired, Village Voice e ho attraversato un periodo di profonda crisi esistenziale, di emergenza spirituale. Ero cresciuto con un background assolutamente non spirituale, del tutto materialistico, laico, avevo 28-29 anni, stavo a Wesley in Connecticut, e ho iniziato a riconsiderare tutta la mia vita passata per vedere se avessi mai avuto qualche esperienza che puntasse verso altre dimensioni, diversi tipi di coscienza, realtà alternative...e mi sono ricordato delle mie esperienze psichedeliche negli anni del college, quando avevo provato occasionalmente funghi allucinogeni e Lsd. Quindi decisi che avrei usato il mio addestramento di giornalista per esplorare a fondo quel campo.

Avevo un amico che aveva fatto parte della Beat Generation, non proprio un beat, ma era stato un poeta
ed era coinvolto con l'Hayahuasca. Me ne parlò e da lì venni a sapere dell' iboga, a leggere Terence McKenna e a scoprire, che c'era una vasta mole di conoscenze accumulate sugli psichedelici, sviluppatasi a partire dagli anni '60, finita underground per decenni. Dopo aver scritto alcuni articoli per il Vîllage Voice sull’hayahuasca e sulle relative cerimonie che si tenevano a New York, per conto di una rivista musicale, una rivista hip hop, sono andato in Gabon,  in Africa occidentale, dove sono passato attraverso l'iniziazione tribale al Buiti, si prende l'iboga, in Occidente è nota come Ibogaina, ha un effetto molto prolungato. ln seguito sono andato in Arnazzonia, in Equador, dove ho lavorato con una tribù chiamata , Sequoia prendendo l'hayahuasca. Al quel punto ho iniziato ad avere una serie di esperienze, passando attraverso questi rituali, che in qualche modo hanno cambiato il mio modo di vedere le cose. E' capitato che sciamani avessero informazioni sul mio passato, o che venissi a sapere cose del futuro, gente che mi diceva cose che si dimostravano poi vere..così lentamente sono passato dal materialismo laico a una prospettiva più multidimensionale della coscienza, del mondo, e a guardare alla coscienza quasi come la intendeva Carl Jung, con la consapevolezzache la psiche ha una sua realtà propria. E ho iniziato a rendermi conto che queste culture indigene e sciamaniche hanno preservato un sacco di conoscenze e saggezza che sono regolarmente
rifiutate nel nostro mondo moderno. Consideriamo le culture indigene superstizioni, storie, senza le conoscenze, la scienza e la tecnologia che abbiamo noi. Ma hanno conoscenze su aspetti differenti della realtà e anche le loro esperienze fanno in qualche modo parte di un sistema di conoscenza, empirico e quantificabile. Quindi questo cambio di prospettiva mi ha portato a interrogarmi sulle profezie. Molte popolazioni indigene in varie parti del mondo continuano a ripetere che stiamo attraversando un periodo molto particolare, nelle loro culture profetizzato da lungo tempo. Gli Hopi lo descrivono come il passagio dal quarto al quinto mondo, i Maya, la civiltà Maya classica è stata tra le culture più sofisticate, la loro civilizzazione è nata dallo sciamanesimo, avevano una incredibile capacità tecnica, hanno costruito straordinarie piramidi, con giochi di luce, sulle quali nel giorno del solstizio striscia su l'ombra di un serpente..i maya si sono focalizzati sull'anno 2012, il 21 dicembre di quell'anno lo hanno designato come una specie di punto di transizione, o di trasformazione, per la cultura e la consapevolezza umana. Il mio è un tentativo di comprendere i sistemi di conoscenza indigeni, usando le nostre menti e i nostri sistemi di conoscenza occidentali. Mi sono quindi interessato a Steiner, Jung, Gebser, Thompson..

Si può parlare di rinascita psichedelica negli Usa? 
 Mi sembra che vi sia piuttosto un movimento psichedelico che non è mai scomparso, anzi che è cresciuto significativamente, ma ora sta succedendo in maniera molto diversa dagli anni '60, ora la gente lavora con gli sciamani, scende in Amazzonia, è tutto più strutturato, equilibrato.

Sta diventando un’industria quella dei viaggi in Amazzonia dallo sciamano 
 Una piccola industria, il petrolio è il big business, e l'industria farmaceutica. Il turismo psichedelico riguarda pochi, alcuni fanno buone esperienze, altri mediocri, altre cattive, ma il fatto che la gente possa andare là e provare ad avere queste esperienze è un fatto positivo.

Anche per gli indigeni dell'Amazzonia?
Penso di sì. Un sacco di tribù hanno smesso di dare valore alle loro tradizioni perché sedotti dalla cultura occidentale, pensano che l'unico modo di sopravvivere è guardare la tv e lavorare nelle fattorie, così quando degli occidentali vanno laggiù e mostrano un profondo apprezzamento per le tradizioni indigene, questo significa molto per loro, li aiuta a mantenere vive le loro tradizioni, che cambieranno, si trasformeranno, ma ogni cosa cambia. Io sono ancora un giornalista, ma il New York Times non la pensa così. Non posso più scrivere per quel tipo di riviste tradizionali sulle quali scrivevo prima, perchè ora mi vedono come troppo associato alle sostanze psichedeliche. Ma dal mio punto di vista mi sono sempre sforzato di fare il miglior giornalismo di cui sono capace..

(parte terza) 

13/04/13

Il richiamo della foresta

Quello che gli sciamani dicono è fondamentalmente vero e va preso alla lettera: nelle loro visioni e trance possono ottenere informazioni su piante, animali, esseri umani, sulla vita sulla terra, sulle malattie e come curarle.

Intervista di M. De Feo a Jeremy Narby

Jeremy Narby è un antropologo svizzero-canadese e un attivista per i diritti delle popolazioni indigene dell'Amazzonia. E' autore di tre libri, Shamans Throught Time (con F. Huxley), una raccolta di scritti di varie epoche che mette in luce come via via è cambiata la percezione che l'occidente ha degli sciamani: esseri diabolici per i primi missionari cristiani nel Nuovo Mondo, persone con disturbi psichici per gli scienziati positivisti dell'800 e primi '900, custodi di saperi e tradizioni che vale la pena studiare e prendere sul serio in anni più recenti. Intelligence in Nature mostra quanto sia stupido e presuntuoso pensare che l'intelligenza sia appannaggio solo degli esseri umani e non permei invece tutta la vita presente sul pianeta. Ma il libro di Narby che maggiore eco ha avuto nella comunitàà scientifica è Il Serpente Cosmico, nel quale viene avanzata un’ipotesi rivoluzionaria su quanto percepito negli stati modificati di coscienza, che mette d'accordo quanto affermato dagli sciamani con le piùù avanzate ricerche della scienza occidentale. Punto di partenza è l'ayahuasca, o yagè, pozione allucinogena usata da millenni da molte popolazioni dell'Amazzonia. Si prepara facendo bollire insieme per molte ore pezzi di una liana, la Banisteriopsis caapi - liana dei morti - e foglie di Psychotria viridis, un arbusto. Le due piante, ingerite separatamente, non producono alcun effetto. Come hanno fatto popolazioni definite 'primitive' a isolare, tra le 80.000 piante che crescono in Amazzonia, proprio queste due per ottenere una droga - per loro è un sacramento - dalla potenza paragonabile a quella dell'Lsd, dei funghi magici o del peyote? Le probabilità di arrivarci attraverso tentativi casuali sono molto vicine allo zero. Interrogati in merito gli sciamani rispondono che sono state le piante stesse a fornire le informazioni necessarie. A lungo gli antropologi hanno liquidato queste risposte come superstizioni primitive, ma dopo aver passato una decina di anni in Amazzonia, aver sperimentato su se stesso l'ayahuasca, e aver messo insieme informazioni fornite da discipline disparate, mitologia, chimica, biologia, fisica e tradizioni sciamaniche, Narby ha avanzato l'ipotesi che con l'ayahuasca gli sciamani riescano a portare la loro coscienza a livello molecolare, e a mettere in comunicazione il proprio DNA con quello delle piante, animali o altri esseri viventi.

Cos'è il serpente cosmico?
Nel libro propongo che quanto gli sciamani dicono è fondamentalmente vero e va preso alla lettera: nelle loro visioni e trance possono ottenere informazioni su piante, animali, esseri umani, sulla vita sulla terra, sulle malattie e come curarle. A quanto pare gli esseri umani in stati alterati di coscienza possono percepire informazioni relative al DNA, e percepirle direttamente da dove esse scaturiscono, dal DNA che è nelle nostre stesse cellule o dal DNA contenuto in tutti gli altri esseri viventi della terra. Questo spiegherebbe quindi anche il mistero di perchéè nelle visioni e nell'immaginario religioso in tutto il mondo ci sono così tante immagini di doppia elica, doppi serpenti, entità serpentine intrecciate. Che queste immagini possano scaturire dal DNA dei nostri neuroni è una possibilità concreta. Dentro la nostra testa , nel cervello, ci sono almeno cento miliardi di cellule, e ognuna di esse contiene una molecola lunga da due metri con la forma di due serpenti intrecciati uno attorno all'altro. I nostri cervelli sono zeppi di serpenti gemelli, pieni a loro volta di informazioni. Ora, c'è una relazione tra la nostra coscienza e il DNA contenuto nei nostri neuroni? Non appena si pone questa domanda la risposta immediata sembrerebbe essere <come potrebbe essere altrimenti!>, come non potrebbe esserci una connessione tra il DNA dei nostri neuroni e la nostra coscienza? E' l'antico dilemma filosofico corpo-mente, come può una cosa immateriale come la coscienza, quel film che vediamo venir fuori dalla gelatina che è la materia grigia dei nostri crani, come può questo film immateriale venir fuori da un mucchietto di gelatina? Ancora nessuno lo sa, è il mistero fondamentale.

La scienza ufficiale sostiene che la coscienza è un prodotto del cervello, altri, che la coscienza è alla base di tutto ciò che esiste..che ne pensi?
Più vado avanti più cerco di essere prudente nel trattare con i concetti. Anche se può apparire strano, nel mio libro ho cercato di tenermi alla larga dal concetto di coscienza. Ho scritto un libro dal titolo Intelligence in nature e non ho mai usato la parola coscienza, è meglio trattare un solo concetto difficile alla volta. Già stabilire cosa sia l'intelligenza è un problema molto complicato, che implica un sacco di presupposti culturali di cui è necessario tener conto. Per esempio l’intelligenza è ritenuta essere specificatamente un attributo umano. Nei dizionari la definizione di intelligenza è per lo più data in termini esclusivamente umani, per definizione non si può applicare ad’ altre specie, il che significa che per la cultura occidentale il resto della natura è stupido. Sto sintetizzando, ma essenzialmente è così. Che cos’è la coscienza? È un'entità ancora più misteriosa, è come chiedere che cos’è l'elettricità. L'elettricità è l'elettricità, ma in realtà nessuno sa che cosa sia. Noi stiamo usando la nostra propria coscienza per cercare di pensare cos'è la  coscienza. Intuitivamente mi piace l'idea che la coscienza  sia una dimensione fondamentale della realtà come lo spazio e il tempo, e quindi non sia riducibile a null'altro, e che ci debba essere stata coscienza fin dall'origine dell'universo, questo mi sembra sensato. Non mi pare affatto sensata invece l’idea riduzionista che la coscienza sia un epifenorneno della materia, una specie di prodotto dell'ultima ora che viene fuori da un mucchio di molecole  che si rincorrono una con l'altra. Un idea del genere  non ha molto senso. Se dici che la coscienza  non viene dopo, ma prima, va bene, ma ancora non dici molto di più su cosa sia la coscienza. Io mi considero in primo luogo un attivista per i diritti della popolazione indigena. Stiamo parlando di andare contro 500 anni di un sistema mondiale capitalista , e per essere efficaci dobbiamo lavorare col materiale che è disponibile. E cos'è disponibile? La biosfera è alla nostra portata, non stiamo parlando di come la vita è iniziata 4 miliardi di anni fa, questa è religione, non possiamo tornare indietro a verificare cos'è successo a quei tempi, possiamo parlare della biosfera com'è adesso. E del sistema politico - economico, delle ingiustizie tra le culture e tra le società, delle classi sociali  e dei diversi sistemi di conoscenza. Le piante e gli animali sono intelligenti? Secondo la definizione occidentale di intelligenza, no, perché l'intelligenza appartiene solo all’uomo. Ma le amebe e anche le cellule del nostro corpo, pare abbiano la capacità di prendere decisioni, cosi il lavoro che dobbiamo fare è sul materiale a portata di mano, su questo possiamo progredire. Domandarsi se la coscienza è parte del tempo, come è nato l'universo e cosa ci riserva il futuro chi lo sa?

Nel tuo libro ho scoperto che la lunghezza del DNA contenuto nel corpo umano è di 125 miliardi di miglia..
Si..il che fa circa 200 miliardi di km, una grandezza di scala astronomica, cosmica, di fronte alla quale è difficile essere riduzionista.

Quindi il DNA è intelligente..ha un progetto?
Non ho usato il termine progetto , sarebbe teleologico, ma intelligente si, il DNA mostra di avere intelligenza e di essere vivo.Ciò non implica che abbia un progetto, ma questo è tutto un altro paio di maniche, bisogna procedere con cautela.

Il darwinismo è per certi versi superato?
La scienza materialista’ del XX secolo è corsa alla conclusione che tutte le risposte erano state trovate e che la risposta stava nella materia. E voilà, ecco un meccanismo che spiega tutta l'evoluzione: ci sono le mutazioni, poi c’è la selezione naturale, i buoni sopravvivono, i cattivi vengono eliminati e così si spiega tutto. Questo dogma è apparso negli anni ’60, Jacques Monod è stato quello che l'ha enunciato più chiaramente, «caso e necessità», ecco la spiegazione. Attraverso mutazioni casuali e la selezione naturale abbiamo una spiegazione per la vita sulla terra. Ma quando nel 1995 per la prima volta è stata decodificata la sequenza genetica, la cosa più sorprendente fu il constatare quanto sequenze genetiche da una specie all’altra erano rimaste inalterate nel corso di un enorme lasso di tempo. Per esempio il 50% dei geni di una banana ha il suo equivalente nei geni dell'uomo, il 92% del DNA del topo è identico a quello degli esseri umani, con gli scimpanzé si arriva al 99%. Nonostante le decine  di  milioni di anni di evoluzione che ci separano dal topo, i nostri geni sono rimasti incredibilmente costanti, nonostante le mutazioni. Ora se vuoi credere che ciò che ha creato tutto questo edificio un mucchio di errori accumulati sei il benvenuto, ma questa è una fede, non ha senso, se prendi un testo, e ad esso aggiungi errori a caso, è ovvio che il testo perde presto ogni significato. Al contrario, quello che pare succeda, a livello dei geni, con il trasporto di ioni, pezzi di DNA che si muovono, trasferimenti orizzontali, è che noi facciamo parte di un vasto sistema intelligente, pare esserci un testo che scrive se stesso  e si aggiorna e si modifica pur rimanendo lo stesso. C'è fluidità, non è solo qualcosa di casuale che occasionalmente accumula errori..

Puoi essere accusato di creazionismo..
Lo so, ma non mi considero un creazionista, sono un agnostico. Non sono interessato alla teologia, non mi occupo di come la vita è nata 4 miliardi di anni fa, io sto parlando della biosfera che c’è ora. E non sto proponendo che si debba credere in alcunché, sto dicendo che non credo che caso e necessità siano sufficienti a spiegare tutto, quella è pura fede! L’ateismo è un derivato del teismo, è una reazione al mondo definito dal dio cristiano. Il desiderio dei materialisti atei di avere la certezza che caso e necessità spieghino tutto è un desiderio religioso. Si dicono anticreazionisti ma nei fatti finiscono per essere anche loro creazionisti. 

Nel tuo libro parli di luce emessa dal DNA..
Ci sonofisici che studiano i biofotoni in laboratori molte seri, con strumenti melto costosi, e misurano l’emissione della luce da parte del DNA. Lo possono fare solo indirettamentre, perché se prendi una cellula, il sole modo in cui puoi osservare nudo DNA è di aprire la cellula e rompere il nucleo, ma le cellule al quel punto è morta e il DNA pure, e non c’e più alcuna emissione di luce. Quindi puoi solo osservare una cellula, una cellula viva, dal di fuori, e questo spiega perché si può misurare l'emissione luminosa del DNA solo indirettemente. Ma la comunità scientifica ufficiale presta un attenzione minima alle ricerche sui biofotoni, sembre esserci una sorta di pregiudizio molecolare, come dire se è biologia vogliamo molecole e appena si tratta di onde elettromagnetiche si avverte una specié di malessere. Sarei veramente felice di vedere più ricerche ufficiali sulle proprietà elettromagnetiche degli organismi biologici, d’altra parte è noto che siamo un sacco pieno di cellule umide e siamo percorsi da ogni tipo di elettricità, siamo acqua ed elettricità.

M.Latramutoli
Cos'è oggi uno sciamano per gli antropologi?
Pensa ai cittadini medi, come li si trova dovunque, a Milano, a New  York, a Ginevra, cosa pensano degli sciamani? La persona media pensa che gli sciamani abbiano conoscenze sulle piante, che sappiano come curare e guarire, e che non sia tutto, solo un imbroglio. Nell'opinione generale li si è a lungo ridicolizzati e demonizzati, ora siamo giunti a una fase dove c'è qualche rispetto, ma c’è anche un sacco di romanticismo.Il problema con il romanticismo è che è l'altra faccia della medaglia, invece di dire <non sanno ,nulla>, si dice <sanno tutto>. Ma ci sono anche osservatori molto più equilibrati che vedono gli sciamani come professionisti olistici, complessi, sfaccettati, che per così dire si fanno beffe delle categorie concettuali occidentali. Noi mettiamo la psicologia qui, la botanica là, e la medicina quassù, mentre questi tipi danzano tra queste categorie e molte altre. Abbiamo difficoltà a definirli, ma possiamo vedere che sono professionisti complessi e anche un pò’ ambigui, hanno dei limiti, non sanno tutto. Ci sono voluti oltre 500 anni per arrivare al punto in cui siamo, in cui vediamo gli sciamani per quello che sono.

Ho letto di una pianta amazzonica che potrebbe curare la tubercolosi.. 
Si stanno facendo ricerche..è una pianta chiamata boahuasca, la liana del boa, ha proprietà che aiutano a curare ferite  e ora è testata in laboratori Usa per vedere se può essere usata per curare la tubercolosi, malattia che uccide due milioni di pèersone ogni anno. Questa pianta l'ha fatta conoscere uno sciamano in Perù.

Grandi industrie farmaceutiche hanno messo gli occhi sull'Amazzonia e offrono milioni di dollari per comprare in esclusiva piante medicinali..
Se le tribù amazzoniche vogliono vendere le loro piante sono libere di farlo, sono adulti, non è affar mio dire alla gente quello che dovrebbe o non dovrebbe fare. Ma se accordi del genere saranno conclusi, come antropologo so che sorgeranno complicazioni. Non dico che sia una cosa cattiva, è un po’ come con gli indiani del nordamerica, alcune tribù ora sono multimiliardarie attraverso i casinò... mi sta pure bene che gli apaches fumino grossi sigari, ma non si limitano a comprare camioncini e a fumare grossi sigati, poi hanno il potere di decidere su qualsiasi altro tipo di affare della comunità, è un quadro con diversi colori...il denaro corrompe la gente, la corrompe a Wall Street come nelle riserve apaches, ma si può anche imparare a farne un buon uso. Le popolazioni indigene sono benvenute come chiunque altro a partecipare al sistema capitalista mondiale, sarà complicato, ma credo che sarà probabilmente un bene che facciano accordi e imparino come maneggiarli.

Hai provato l'ayahuasca..
Il primo capitolo del mio libro descrive quell'esperienza, è stato qualcosa che mi ha cambiato la vita. 

E' stato il tuo primo viaggio allucinogeno?
No, no..sono cresciuto in Svizzera dove l'Lsd è un prodotto indigeno e l'ho provato diverse volte in precedenza.

Perdura una forte propaganda nei media sui presunti terribili pericoli dell'Lsd e delle altre sostanze allucinogine..
Le sostanze  allucinogene in effetti  comportano dei rischi. Penso sia un errore affermare che chi e contro le droghe ha semplicemente torto. Assumere sostanze allucinogene conporta rischi per la psiche, perché certe persone sono fragili, e non possono saperlo in anticipo. Ci  sono rischi,  tutta la vita è un rischio, e non ci sono opportunità senza rischi. Credo che i cittadini del mondo in quanto aduiti dovrebbero essere liberi di modificare la loro coscienza se lo vogliono. Per quale ragione un burocrate dovrebbe dirmi che non ho il diritto di fumare la marijuana che cresce nel mio giardino? E una questione tra la pianta, i miei polmoni e me stesso.

Con le sostanze allucinogene il rischio vale la candela? 

Per me l'ho è stato di certo. Se poi guardi all’impatto dell’Lsd sulla cultura occidentale, un certo numero di persone  ne ha pagato il prezzo, ci sono stati incidenti, ma non sono state fatte ricerche adeguate, non sappiamo quanti incidenti vi siano stati legati all'Lsd. E non sappiamo quanti viaggi positivi vi siano stati: milioni? Prova a chiederlo ai. Beatles, o a Jimi Hendrix..quante sono le persone creative che sono state <accese> dall’Lsd? Decine di milioni di persone...il modo di fare film, musica, pubblicità, è stato cambiato da questo sostanze. Anche l’industia dei computer.. Bill Gates e Steve Iobs come degli hippies seduti  a Sylicon Valley proclamavano: il grande complesso militare non deve avere îl monopolio sui grandi computer, cambieremo il mondo permettendo aì singoli individui di accedere a questo grande potere dei computer.. erano in acido quandp pensavano questo, ma chìunque oggi abbia un personal computer sta beneficiando delle intuizioni suscitate dall'Lsd in alcuni hippies fissati con la tecnologia. Sì, l'Lsd e gli altri allucinogeni hanno dato contributi veramente importanti alla cultura occidentale. C'è stato un non ben definito prezzo da pagare sotto forma di incidenti legati all'acido- nessuno può fare il conto e stabilire quanto si è guadagnato e quanto si è perso- ma credo che il bilancio sia positivo.

Vai ancora in Amazzonia? 
Si, lavoro per una Ong svizzera a favore di progetti degli indigeni dell'Amazzonia, raccolta di fondi, faccende burocratiche, prendere dai ricchi per dare ai poveri..si tratta di appoggiare le iniziative delle popolazioni indigene, quando propongono di educare i loro figli nella loro propria lingua, le donne che vogliono salvaguardare le loro conoscenze sulle piante, gli indiani maziganga che vogliono imparare itticultura perchè nei loro fiumi non ci sono più pesci a causa delle compagnie petrolifere..aiutiamo gli indegeni dell'Amazzonia a sopravvivere nel XXI' secolo..

seconda parte


11/04/13

Radici Psichedeliche: Albert Hofmann

LSD PUO' FAR BENE A TUTTI

Albert Hofmann se n'è andato il 29 aprile del 2008 nella sua casa di Rittimatte, in Svizzera, all'età di 102 anni. E' stato uno dei più importanti chimici del nostro tempo e ha scoperto Lsd, sostanza che fino alla morte ha considerato al contempo una "droga meravigliosa" e un "bimbo difficile". Ha inoltre svolto attività pioneristiche nel campo della ricerca su altre sostanze psicoattive, importanti piante mediche e funghi. Grazie all'influsso del potenziale dell'Lsd, capace di espandere la coscienza, lo scienziato si è via via sempre più trasformato in un filosofo amante della natura e in un visionario critico verso la nostra cultura. A. Hofmann è stato attivo fino all'ultimo: scambiava lettere con esperti di tutto il mondo, concedeva interviste e partecipava con interesse agli eventi internazionali, nonostante avesse deciso molti anni prima di ritirarsi dalla vita pubblica. Eppure ha accolto a Rittimatte fino all'ultimo giorno visitatori venuti da tutto il mondo, aprendo la sua porta di casa anche la sera tardi, a chi bussava. E fino all'ultimo è riuscito a coltivare quella sua curiosità, quasi infantile, con cui ammirava le meraviglie della natura e di tutto il creato. Nel suo "paradiso" - come usava chiamare la sua casa - si era goduto la vicinanza con la natura, soprattutto con le piante. <Rittimatte è la mia seconda più grande scoperta> diceva con occhio luminoso. Nato l'11 gennaio 1906 nell'attraente cittadina svizzera di Baden, il maggiore di quattro figli. Suo padre era operaio in fabbrica, dove più tardi avrebbe conosciuto la madre di Albert: quando si ammalò gravemente, era toccato a lui, in quanto figlio più grande, guadagnare da vivere per tutta la famiglia. Mentre faceva l'apprendistato come impiegato commerciale, contemporaneamente studiava latino e altre lingue, perchè volle fare l'esame di maturità, in un istituto privato con le lezioni pagate dal padrino. Nel 1926, a vent'anni, Hofmann inizia i suoi studi di chimica all'università di Zurigo. Quattro anni dopo si laurea con lode e comincia a lavorare nei laboratori di ricerca chimico-farmacologia della Sandoz a Basilea, rimanendovi fedele per quattro decenni ininterrottamente. Si occupa soprattutto di piante mediche e di funghi. Il suo interesse particolare va agli alcaloidi del fungo delle graminacee. Nel'38 riesce ad isolare la sostanza base di tutti gli alcaloidi importanti a livello terapeutico del fungo ergot, l'acido lisergico; quindi la combina con una serie di sostanze chimiche. Questi derivati dell'acido lisergico li ha poi utilizzati in vari test per provare i loro effetti stimolanti sulla circolazione sanguigna e sulla respirazione, tra cui a nche l'Lsd 25 (dietilammide dell'acido lisergico). Non avendo riscontrato gli effetti desiderati, i farmacologi della Sandoz persero ben presto interesse nella sostanza. Cinque anni dopo, seguendo una "strana intuizione" Hofmann torna ad occuparsi dell'Lsd 25. Nel '43, il 16 aprile, durante la sintesi chimica, comincia a sentirsi un pò strano, a sentire una strana irrequietezza accompagnata da una leggera vertigine, che lo iduce ad interrompere il lavoro in laboratorio. A casa <mi ero sdraiato e caddi in uno stato non spiacevole simile all'ebbbrezza da alcool, contrassegnato da una forte attività fantasticante. In questo stato semiaddormentato, a occhi chiusi - perchè non riuscivo a sopportare la luce diurna, troppo forte - mi apparvero ininterrottamente immagini fantastiche di straordinaria plasticità e dal gioco di colori molto intenso, quasi caleideoscopico. Dopo circa due ore era tutto finito>. Tre giorni dopo, il 19 aprile del '43, compie volontariamente il "primo viaggio in acido" nella storia dell'umanità. Siccome non sapeva valutare ancora l'enorme effetto della droga, alle 16.20 ne assunse 250 microgrammi, una dose inaspettatamente massiccia, e imparò a conoscere la potenza allucinogena di questa sostanza. Con la scoperta dell'Lsd Albert Hofmann diede vita a un onda che divenne subito gigantesca, influenzando l'intera seconda metà del secondo millennio in un modo paragonabile solo alla pillola contraccettiva. Alcuni ricercatori della coscienza umana ne parlarono devotamente come di "una bomba atomica dello spirito". Alla ricerca, decollata dal quel momento a livello mondiale, Hofmann contribuì notevolmente con studi propri. Nel '58 fu ancora il primo a isolare le sostanze psicoattive psilocibina e psilocina presenti nei funghi allicinogeni messicani (psilocybe mexicana); mentre nei semi di un tipo di convolvolo, l'Ololiuqui, trovò sostanze simili all'Lsd. Continuò a fare ricerche e sintesi chimiche con numerose piante mediche per provarne gli effetti, e questa sua attività portò non pochi successi farmacologici alla Sandoz: nacque così l'Hydergin in campo geriatico, l'Hydergot per la circolazione e il Methergin applicato in campo ginecologico. Fino all'età della pensione, nel 1971, Hofmann lavorò alla Sandoz, ricoprendo negli ultimi anni la funzione di direttore del dipartimento di ricerca per rimedi naturali. In seguito si dedicò in modo intenso alla scrittura di testi e a conferenze in giro per il mondo. Arrivano anche molti riconoscimenti per la sua pioneristica attività scientifica: il Politecnico di Zurigo, l'università di Stoccolma, e la libera università di Berlino gli conferiscono lauree ad honorem. In quelle occasioni furono premiati gli straordinari contributi scientifici; ma l'opera compiuta da Albert Hofmann nel corso della sua vita è stata molto più ampia. Sin dall'inizio ha sempre accompagnato di buon grado l'impegno di medici e psicoterapeuti desiderosi di inserire l'Lsd tra i nuovi farmaci e le nuove cure per le più svariate malattie croniche. L'Lsd non era solo un ottimo rimedio per molte e svariate diagnosi, no, Hofmann era convinto che il potenziale psichedelico della <meravigliosa droga> potrebbe far bene a chiunque di noi. Negli stati alterati di coscienza provocati dall'Lsd, chi li ha sperimentati non vive solo attimi di follia psicotica di un cervello chimicamente manipolato, ma finestre aperte verso una realtà altra, verso esperienze davvero spirituali in cui si manifesta un potenziale del nostro spirito, abitualmente nascosto in modo profondo; la caratteristica divina dell'essere e la nostra relazione con essa. <Il fatto di credere unicamente a una visione scientifica della vita si basa su un grande errore non privo di conseguenze - scrive Hofmann in Percezione della realtà - Certo, è tutto vero ciò che essa contiene, ma è vero anche che rappresenta soltanto una metà della realtà, quella materiale e quantificabile dove mancano tutte quelle dimensioni spirituali indescrivibili con concetti di tipo fisico o chimico. E sono proprio queste che includono le catatteristiche più importanti di ogni aspetto della vita.> Dunque non è solo il singolo consumatore a trarre profitto da un prodotto chimico che vuole riconoscere questi aspetti della vita, anzi, secondo Hofmann esso potrebbe aiutare a curare tutti i mali cronici di cui soffre il mondo occidentale: < il materialismo, lo straniamento dalla natura (...), la mancanza di soddisfazione professionale in un mondo di lavoro meccanizzato e senza vita, la noia, e l'errare senza meta in una società opulenta e satura, la mancanza di una base filosofica nella vita che possa dare un senso adplla stessa..> A partire da esperienze simili a quelle comunicate dall'Lsd, si potrebbe <sviluppare una nuova consapevolezza della realtà che potrebbe diventare la base di una spiritualità che non deriva da religioni esistenti ma si evolve dalla comprensione di un significato più profondo e più alto, essa potrebbe consistere nel fatto che riconosciamo, leggiamo e comprendiamo i misteri, nel libro scritto dal dito di dio>. Quando simili comprensioni <fanno il loro ingresso nella coscienza collettiva, ne potrebbe conseguire che sia la ricerca scientifica, sia tutti gli agenti, che finora hanno solo contribuito a distruggere la natura - come le tecnologie e le industrie - potrebbero invece servire a ritrasformare il mondo in ciò che fu un tempo addietro: un paradiso terrestre>. Con questo messaggio il geniale chimico si fa filosofo della natura con idee profonde, e visionario critico della nostra cultura. Albert Hofmann infatti, non ha mai smesso di esprimere la sua distanza critica rispetto all'euforia verso l'Lsd coltivata dal movimento hippie e dal flower power. Il fatto di aver messo al mondo un "bimbo difficile" lo aveva già sottolineato nel titolo del suo libro più famoso. Ha sempre indicato i rischi di un consumo non controllato, così come non si è mai stancato di sottolineare ciò che distingue l'Lsd da quasi tutte le altre droghe: un uso anche ripetuto non crea alcuna dipendenza; non si verifica nessun limite della consapevolezza; consumato in dosi normali non è velenoso. Hofmann non è mai riuscito a comprendere la totale demonizzazione delle droghe psichedeliche attuata dai mass media e dai governi conservatori a partire dagli anni sessanta, anzi, per lui non c'è nulla in contrario al fatto che persone con una psiche stabile possano assumere Lsd in situazioni serene e ambienti tranquilli. Tanto più fu deluso quando l'uso dell'Lsd venne criminalizzato e vietato - persino per scopi terapeutici e di ricerca scientifica - in tutto il mondo a partire dalla fine degli anni sessanta. Gli stimoli per una possibile inversione di tendenza partiti dal grande convegno <Lsd - Bambino difficile e droga meravigliosa>, organizzato per il suo centesimo compleanno, Hofmann li aveva accolti come un bellissimo regalo. A quasi 102 anni aveva appreso con gioia, nel dicembre 2007, che dopo un interruzione di quasi 35 anni il minstero della salute svizzero aveva approvato uno studio per l'uso terapeutico dell'Lsd. La sua vita serena in età avanzata è divenuta immagine modello per tante persone, di come sia possibile, cioè, invecchiare con spirito e un corpo sano, purchè si sappia conservare la propria curiosità infantile. Hofmann ha dichiarato più volte di essere convinto che le sud esperienze mistiche e i suoi viaggi in altre dimensioni della coscienza, compiuti in modo spontaneo da bambjno, e sulla base dei suoi esperimenti con sostanze psichddeliche da adulto, siano la migliore preparazione per quell'ultimo viaggio che ognuno di noi deve compiere alla fine della propria vita . Lui è riuscito a conservare curiosità persino per questo suo ultimo viaggio..

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(parte prima)