31/10/13

Perchè ho amato Lou Reed

Lou Reed è sempre stato un sapiente collage di tutti i personaggi che camminano nelle sue canzoni. La sua faccia olivastra era distante, sempre sciupata. Ma dietro questa apparenza spettrale, si nascondeva un’anima tagliente e spasmodica. Imbronciato, solitario, nonostante comportamenti scherzosi e impetuosi. Lou Reed non ha scritto soltanto di squallidi personaggi, ma ha permesso loro di respirare da soli e ha colorato dei paesaggi familiari attraverso i loro occhi. Reed ha creato una musica che si avvicina a dischiudere i parametri della rovina e della guarigione degli uomini come possiamo trovarli noi. Questo, ai nostri occhi, lo qualifica come uno dei pochi veri eroi che il rock and roll ha innalzato. Ha scritto canzoni per quei giorni in cui “in cui tutto sembra andare male”, ha usato i suoi stati d’animo: “Se entro in uno di quegli stati d’animo tristi e malinconici, cerco di sfruttare quel momento più che posso. So che presto ne uscirò fuori e che non guarderò le cose nello stesso modo. Per ogni momento nero, ho un momento euforico. Penso che le persone che sono spesso depresse, sanno anche raggiungere una grande euforia, questo vuol dire che io non sono veramente triste”.

Quando stava nella scuola superiore i suoi cambiamenti d’umore e i tuffi a capofitto nella depressione diventarono cosi frequenti che i genitori lo sottoposero ad una terapia da elettroshock (un’esperienza che più tardi descrisse amaramente in una canzone chiamata Kill You Sons). Dopo “Loaded”, il quarto album con i Velvet Underground, i problemi finanziari costrinsero Reed a lasciare il gruppo. Cominciò una carriera solista talmente irregolare da sembrare inconciliabile con le premesse del precedente lavoro. Dopo aver finalmente raggiunto il successo commerciale nel 1972 con Walk on the Wild Side (da “Trasformer», coprodotto da David Bowie), Reed cominciò immediatamente a saggiare la resistenza del suo pubblico, lo mise prima alla prova col tanto diffamato “Berlin", poi con “Metal Machine Music", uno scherzo,una provocazione: quattro facciate della durata esatta di 16 minuti e un secondo ognuna, ottenute dalla distorsione, dalla vibrazione amplificata di congegni elettronici, una sorta di gelido spavento minimale. Molte copie furono restituite ai negozianti da clienti convinti che fosse un errore di stampaggio ma la realtà fu un chiaro sberleffo alla saccenza dei signori delle compagnie discografiche. Nel mezzo ci furono i successi "Rock’n’roll Animal" e “Sally Can’t Dance", dischi che in seguito ha denunciato come delle invenzioni commerciali e banali. “Coney Island Baby" è del '76, il suo album più personale di canzoni dai giorni dei Velvet, e forse, il mio preferito in assoluto. In quel periodo c’erano delle voci che affermavano che non poteva sostenere dei tours perché stava malissimo a causa della droga e il suo cervello se ne stava andando. Ma Coney Island Baby fu il disco di Lou Reed, fatto con pochio soldi e con Rachel, all’epoca il compagno di Reed di lunga data. Un disco sexy e raffinato, canzoni delicate, un disco per.. amanti e amici.

I suoi lavori a volte davano l’impressione di essere prodotti da un distaccato osservatore, senza nessun interesse nei risultati che possono raggiungere i suoi personaggi e nessuna preoccupazione morale per le loro scelte. Ma da Coney Island Baby sembrano personali e rivelatori. “Ci sono delle piccole cose nelle mie canzoni che le fanno allontanare da me, ma, ah, si, sono molto personali. Credo che il personaggio Lou Reed sia abbastanza vicino al vero Lou Reed, fino al punto dove, forse, non c’é nessuna differenza tra i due, ma quello sono io tanto quanto si può esserlo in un disco”.

I critici dell’epoca etichettarono il suo come “stile non musicale con le liriche incoerenti”.. “Ho scritto delle canzoni che parlavano di uccidere la gente, ma anche Dostoevskij uccideva la gente. Nella realtà io non posso fare quello che fanno i personaggi delle mie canzoni, semplicemente perché mi metterebbero subito in prigione. Quando cominciai a scrivere canzoni, non vedevo come la forma potesse essere considerata restrittiva, sebbene da allora abbia visto la resistenza che può generare. Ma questo succede solo se si perde il proprio impeto..” Liriche che risentono delle lezioni di scrittori come Delmore Schwartz (suo insegnante all’universita, amico e maestro), Hubert Selby Jr. e William S. Burroughs, oltre a Edgar Allan Poe ("Cerco di adattare il loro sangue alle mie melodie"), tossici come lui e come lui intenti a osservare il precipitare di una vita in fondo a un buco: la studiano e si fanno cronaca dei propri spostamenti - prima del baratro più spaventoso e mortale (dal quale pero non riuscirà a salvarsi Schwartz motto l’11 luglio del ’66 a 53 anni alcolizzato e in solitudine all’Hotel Marlon della sua New York).

Lou ricordava che i Velvet Underground ricevettero delle critiche simili. “Quando lasciammo New York", dice Lou, “eravamo shockati di essere cosi importanti. Ma soprattutto eravamo shockanti. Questo accadeva perché, secondo me, cantare una canzone rock and roll é una cosa molto reale; e accessibile ad un livello immediato, molto più di un libro che si legge o di un film che si va a vedere. La gente crede che quello che c’é in un disco si applica alla persona che lo canta e trova questo molto shockante, nonostante questo prendono un giornale e leggono cose molto più shockanti».

Ho amato Lou Reed perché la sua musica si avvicinava a me e alla gente in generale, ad un livello personale. C’era e c’è un consenso da parte nostra. <<Heroin>> è sempre attuale come lo era anni fa.
“Mi sento quasi un uomo quando mi metto un ago in vena / e allora ti dico che le cose non sono piu le stesse. Ho preso una grande decisione, tenterò di annullare la mia vita / perché quando il sangue comincia a scorrere, quando sprizza nella siringa, quando sono abbracciato alla morte /non potete aiutarmi voi ragazzi, né voi ragazze dalla lingua lunga / Potete andare tutti a spasso Eroina, sarà la morte per me / Eroina, é la mia donna e la mia vita / perché una strada dalle vene porta al centro della mia testa / allora sto meglio che se fossi morto”

Inizia cosi la poetica tossica di Reed che racconta il disagio del vivere ai margini di una civiltà lercia e malata di decadenza. Schockante, la giudicarono. Io ho sempre pensato che fosse una specie di cosa romantica. “Non c’é tutta quella tensione in quel mondo. Sono arrivati dei ragazzi da me e mi hanno detto. “Mi hai fatto arrivare all’eroina con la tua canzone". Beh, non puoi considerarti come un genitore del mondo. La gente ha il diritto di essere ciò che vuole, sia nel senso migliore che in quello peggiore del termine. Vorrei solo che capissero che non ci si può evolvere attraverso gli altri”.
Tanti di quei ragazzi l'hanno capito dopo, molto tempo dopo.

Ho amato la musica di Lou Reed, per Ia sua mancanza di quella che può essere chiamata.. Ia morale. E perché c’è sempre un opinione espressa, un’opinione, che riguarda sempre il prendere o lasciare. Prendere o lasciare. Ho amato e amo Lou Reed. E tutto questo non è per costruirgli un Olimpo, perchè ha scritto anche dischi brutti, ma a questo punto è superfluo richiamare in causa tutta la sua carriera e la sua coerenza. La sua attualità non ha fine né confine. Ha acquisito forza, con gli anni. E’ cresciuta. Si è trasformata. I piccoli inconvenienti di strada, i suoi trip momentanei, le sue grandi aspirazioni, la sua ricerca d’amore, il suo cinismo, il sublime delle oscurità in cui si era nascosto. Le cose che ha scritto, che ha cantato e suonato hanno dato vita a una vera rivoluzione che riguarda non solo il rapporto tra uomini e donne, ma tra esseri umani. Dando voce a diversità che arrivavano fino alle stelle. Perchè ha rappresentato tutte le cose più incasinate che sono riuscito a fare e soprattutto quelle che sono riuscito ad immagginare. L’uomo che ci guardava dalla copertina di The Bells, quello che dal retro, assorto sul muro di una casa, aspetta l'uomo con qualche mozzicone per terra testimone d’impazienza, era un uomo di strada, e un uomo vero. Tutto quello che ha vissuto e che ci ha dato, è stato e sarà nostro. Per sempre.
ndr: brani delle interviste tratte da un vecchio numero di Popster


Take no Prisoners
“Take No Prisoners", fu un capriccioso doppio album dal vivo, salutato da alcuni critici come il suo disco più audace e da altri come il suo più stupido. “Take No Prisoners" è brutale, rozzo, indulgente (il tipo di album che le stazioni radio e gli acquirenti di dischi hanno sempre ignorato). E’ un peccato, perché è anche uno dei dischi più bizzarri che siano mai stati registrati. l pezzi (un pout pourri delle canzoni più conosciute di Reed negli anni 70, compresa Sweet Jane e Walk on the Wild Side) servono soltanto da sfondo per i tetri monologhi alla Lenny Bruce di Reed. Ad un certo punto, rispondendo a qualcuno del pubblico che obietta contro una delle sue tante accuse etniche, Lou dice aspramente, “Cosa c’é che non va in queste burle di poco valore? Vaffanculo. Non ho mai detto di essere raffinato. Non sono raffinato". Ma il vero regalo del disco è l’ultima formidabile facciata del disco, in cui ci sono le versioni struggenti, pietrificanti di Coney Island Baby e Street Hassle - i definitivi resoconti dell’angelo paria alla ricerca della redenzione. Street Hassle in particolare, è l’apoteosi dell’incallita qualità del rock and roll di Lou.  La versione dal vivo di Street Hassle è una più credibile discesa nella oscura meditazione di una psicologia maligna, disseminata di vittime della droga e del sesso, narrata da un logorato junkie.. Due facciate piu due, un fiume di parole, un sapore cabarettistico ma senza troppe luci di comicità. Un lavoro sorprendente che, per le aperture jazzate o funky, spaccò in due la catena dei fans..



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