17/06/16

Il tatuaggio nella Zona, il sistema carcerario sovietico

Nelle carceri e nelle prigioni di tutto il mondo, i tatuaggi possono diventare una parte significativa della divisa di un detenuto: non solo servono per identificare il crimine che si è commesso, ma è anche un modo per comunicare con gli altri. In Russia, per esempio, il disegno di un pugnale attraverso il collo suggerisce che è un detenuto che ha assassinato qualcuno in carcere ed è disponibile ad effettuare lo stesso crimine, su commissione. Arkady Bronnikov, considerato massimo esperto dell' iconografia del tatuaggio in Russia, ha recentemente pubblicato una raccolta di circa 180 fotografie di criminali rinchiusi in istituti penali nel periodo sovietico. "Russian Criminal Tattoo Police Files", 256 pagine edito da FUEL, è probabilmente la più grande collezione di fotografie sui tatuaggi carcerari mai pubblicato. Questo libro è basato sui disegni di Danzig Baldaev, una guardia carceraria che ha documentato il fenomeno del tatuaggio criminale russo nel corso della sua carriera. Un poliziotto in pensione, il sopracitato Arkady Bronnikov, era un esperto di alto livello di medicina legale presso il Ministero degli Affari Interni dell'URSS, e le sue funzioni svolte per più di 30 anni, visitando istituti di correzione dagli Urali e alla Siberia , tra la metà degli anni '60 e quella degli anni '80, ha intervistato, fotografato e raccolto informazioni sui detenuti e loro tatuaggi,costruendo uno degli archivi più completi in circolazione fino ad oggi.

I temi che più spesso i tatuaggi raffigurano sono abbastanza comuni. Immagini religiose: la Madonna col Bambino, chiese russe, croci, quel genere di cose. Tuttavia, nel contesto del sistema carcerario sovietico, "la zona", come veniva chiamato, quelle immagini non hanno assolutamente nulla a che fare con le credenze religiose; i loro significati reali sono radicate nelle celle e nelle tradizioni criminali. Esse derivano dal desiderio di mostrare se stessi come emarginati, come qualcuno che è stato frainteso e è destinato a soffrire.La Madonna col Bambino è uno dei tatuaggi più popolari tra i criminali, e può avere un alto numero di significati. Può simboleggiare la fedeltà ad un clan criminale, può significare che chi lo indossa ritiene che la madre di Dio tiene lontano il male, o che il detenuto è stato in prigione e dietro le sbarre fin dalla più tenera età ...Nella zona, una chiesa o convento viene interpretato come il segno del ladro, con il numero di cupole che rivela il numero delle condanne. Una croce è comunemente tatuata sulla parte più importante del corpo: il torace. Mostrare la devozione alle tradizioni dei ladri ed è la prova che non è un traditore, una spia, che è "pulito".

All photos © Arkady Bronnikov/FUEL 


Il teschio e ossa incrociate sulle spalle del prigioniero indicano che sta scontando una condanna a vita, e la ragazza "cattura" il suo vestito con una linea di pesca sull'avambraccio sinistro è un tatuaggio comunemente firmato a stupratori.


Un pugnale attraverso il collo indica che un criminale ha assassinato qualcuno in carcere ed è disponibile a diventare un killer su commissione. Le gocce di sangue possono indicare il numero di omicidi commessi.


 Le stelle sulle spalle di questo detenuto indicano che lui è un "autorità,"  mentre le medaglie rappresentano le sfide alle autorità. Gli occhi sullo stomaco suggeriscono che è gay.




 Uno dei tanti prigionieri che ha contratto la sifilide, l'AIDS, o il tetano, per essersi fatto tatuato in condizioni antigieniche

 


 Un serpente intorno al collo è un segno di tossicodipendenza.



 L'aquila a due teste è un simbolo russo del quindicesimo secolo. Segna disprezzo per le autorità e rimpianto per la grande madre Russia. La Statua della Libertà indica desiderio di libertà, mentre la figura scura indica la disponibilità a commettere altri crimini. 


04/06/16

The Match


All'inizio fu un breve colpo di vento e il cielo sembrò aprire il coperchio di zinco che chiudeva da un mese Kinshasa in un unico blocco di umidità e caligine, poi in un attimo venne giù l'uragano, quasi la restituzione postuma di una preghiera o di un rito scaramantico da troppo tempo officiato a bassa voce, l’esito della cospirazione unanime di allibratori, di appassionati e degli uomini in divisa la cui presenza ubiquitaria aveva decorato l'evento come fosse uno scoppio incendiario del colore verde (ora più sgargiante, proprio perché madido di pioggia) e dunque sancito il trionfo un’Africa ancestrale e rediviva. Il tornado infierì sullo stadio che il regime di Mobutu, l’incubo in tinta verde del socialismo più autocratico, aveva allestito alla maniera dl un antico arengo o, persino, di un Colosseo panafricano dove il ring poteva simulare sia uno spazio gladiatorio sia un’ara sacrificale. Ma ogni cosa si era già compiuta un’ora avanti, alle quattro di mattina, quando il mondo della forza bruta, la dura legge della necessità, era stata violata da una forza contraria, cosi esatta e inesorabile, cosi padroneggiata nel ritmo di una danza e suggellata da una clausola d'autore, da riuscire in effetti fatale. Chiunque era autorizzato a pensare, oramai, che ll tornado esploso nella lividezza dell’alba fosse un segno apocalittico, nel senso etimologico della rivelazione, perché il vecchio Ali, l’artista e profeta, ll compagno di via di Malcolm X, colui che punge come un’ ape e vola come una farfalla, aveva vinto, mentre George Foreman, il lacche negro e bianco, il prodigio biomeccanico, la macchina da pugni e da soldi, era stato platealmente executé. A ora il cielo era un lavacro, nell'ora zero del sogno africano e dell'apoteosi di uno sport che aveva ambiguamente cominciato a morire proprio quella notte del 30 ottobre '74, nel corso dell’ottavo round, dopo un estenuante mimo che aveva visto Foreman sparare i suoi colpi nel vuoto e Ali, viceversa, rinunciare alle figure della danza consueta per adagiarsi sulle corde del ring come fossero una barra d’appoggio ovvero il soccorso del secondo principio della termo dinamica. Solo a metà dell’ottava riresa Ali si era staccato dalle corde e aveva guadagnato, imperioso, il Centro del ring accingendosi al ballo che annunciava l’inizio dell'esecuzione: 
<<Un proiettile delle dimensioni esatte di un guantone da boxe centrò in pieno la mente di Foreman, il miglior pugno di quella nottata sorprendente, il pugno che Ali aveva tenuto in serbo per tutta la sua carriera. (. . .) La sua mente lo tratteneva con un magnete grosso come il suo titolo, ma il suo corpo cercava il suolo. Andò giù come un maggiordomo sessantenne grande e grosso che ha appena udito una notizia tragica, si, cadde per due lunghi secondi, il campione, un pezzo alla volta, e Ali girava con lui in uno stretto cerchio, le mani pronte a colpirlo ancora una volta, e non ce fu bisogno, non fece altro che scortarlo al tappeto>>.


Nel 1975 Muhammad Ali, alias Cassius Clay, incontrò sul ring di Kinshasa, nello Zaire, George Foreman, campione dei pesi massimi. mai sconfitto prima, foreman si serviva del silenzio, della tranquillità e della devastante presenza fisica per intimorire gli avversari. Ali tentava di riprendere il filo di una carriera in declino, e di riconquistare per la seconda volta la corona dei massimi, investendo nell'impresa tutta la sua intelligenza, il gusto della provocazione, il talento. due uomini, due grandi campioni, due personalità opposte ma straordinarie. 
Questo è un piccolo estratto da The Match, (tornato in Italia nella nuova versione di Alfredo Colitto col titolo La sfida, Einaudi - Stile Libero 'Big', pp. 261, 14 euro) scritto in terza persona dal grande scrittore americano Norman Mailer, newyorkese, bianco ed ebreo, radicale, all’epoca tutto metafisica beat, marijuana, pacifismo e rigetto dell’establishment, di stanza da un mese a Kinshasa e presente quella notte a bordo ring, in  uno dei suoi libri più belli, in cui descrive la preparazione, il clima, la tensione delle settimane che precedettero l'evento, l'allenamento e infine l'indimenticabile match, dando ampio spazio anche alle tensioni tra Ali, sostenitore del Black Power e dei musulmani neri e amico personale di Malcom X, e Foreman, poco propenso a fare della questione razziale una priorità o una ragione di vita..