28/10/12

Rock (Coming ) Out

Non tutti gli artisti rock hanno vissuto la propria omosessualità in maniera pubblica e pubblicizzata. Nel mondo dell’intrattenimento musicale la sessualità è rappresentata troppo spesso da stereotipi e scegliere di uscire da questi schemi può essere una decisione difficile. Negli anni ’70 e ’80 il rock e il pop scoprirono la trasgressione del glam e della disco music. L’identità sessuale ambigua era parte dello spettacolo: l’alieno di David Bowie, il Lou Reed di Transformer, i travestimenti di Elton John e Freddie Mercury, le drag queen delle discoteche, i Village People, Boy George. L’omosessualità andava di pari passo con l’idea spettacolo, show, nascondendo spesso un trauma personale e una lotta per un riconoscimento che non fosse la curiosità/morbosità del pubblico. Alcuni artisti hanno vissuto la propria omosessualità in modo estremamente sofferto e il loro percorso personale è una storia di intime angosce fino alla completa accettazione di sé.
 
Schede tratte da Gay Rock. Artisti al cuore dei propri generi musicali, personaggi che hanno disvelato la propria sessualità dopo averla celata nelle maniere più sofferte e improbabili.
di Guido Mariani - Alias


LITTLE RICHARD
Terzo di dodici figli, Richard Wayne Penniman nasce nel dicembre del 1932 nello stato razzista della Georgia. «Mio padre mi cacciò di casa - ricorderà in un’intervista-. Disse che voleva sette maschi, ma che io avevo rovinato il suo sogno, perché ero gay». Rifiutato perché omosessuale, segregato perché nero. Vivrà la sua vita combattendo con se stesso. «Mi chiamavano frocio, femminuccia, delinquente, mostro». Iniziò a suonare giovanissimo e andò in tour con un gruppo chiamato B Brown and his Orchestra: «Venivamo picchiati per un nonnulla, colpiti con bastoni. La polizia mi fermava e mi faceva lavare la faccia. Non potevamo stare negli hotel, andare nei bagni». Pochi anni dopo con il nome di Little Richard divenne uno dei patriarchi del rock’n’roll. La sua Tutti Frutti divenne la colonna sonora di una rivoluzione, un brano selvaggio, scabroso e travolgente, che Pat Boone riuscì a vendere anche alle famiglie bianche in una versione addomesticata («I bianchi dicevano che io ero il demonio»). Sarebbe stato impossibile per lui ai tempi rendere pubblica la propria sessualità, anche perché la sua fede religiosa lo spinse spesso a non accettarsi e a vivere lunghi periodi di rimorso e di conversione. Durante uno di questi sposò nel 1959 Ernestine Campbell, studiosa di Bibbia conosciuta a un meeting evangelico con cui adottò un bambino. Il matrimonio durò però poco, Richard alternava comportamenti selvaggi a periodi di fervori religiosi. Ha avuto anche una lunga relazione intermittente e durata anche in tarda età con una sua amica d’infanzia, Audrey Robinson. Nella sua biografia pubblicata negli anni ’80 proclamò che l’«omosessualità è contagiosa» e proclamò di aver rifiutato il sesso. Nel 1995 in un’intervista a Penthouse disse: «Sono stato gay tutta la vita e so che dio è un dio d’amore e non di odio».

MICHAEL STIPE
Oggi sembra un professore universitario quasi in età da pensione, ma Stipe, 51 anni, agli esordi della sua carriera alla guida dei Rem fu il poster boy della generazione del college rock. Negli anni ’80 fu una sorta di sex symbol per le ragazzine intellettuali che rifiutavano il pop della neonata Mtv per scegliere i loro idoli nella allora fiorente scena underground Usa. Questo lo ha portato per anni a vivere con una certa discrezione la propria omosessualità. In realtà, ha confessato in una recente intervista, «più che un desiderio di tenerlo privato, sono stato costretto a essere un codardo riguardo a questo tema». Un fattore determinante fu anche l’esplosione dell’Aids e il panico da contagio. «Era una caccia alle streghe - ha detto - erano gli anni di Reagan, si parlava di campi di concentramento per i sieropositivi. Si pensava che fosse una malattia gay che i bisessuali potessero diffondere anche alla comunità etero e si sparse la paura». Col tempo Stipe è stato sempre meno timido, negli anni ’90 iniziò a parlare della sua sessualità alla rivista gay Out dovendo però smentire le voci circolate secondo cui eramalato di Aids. Da allora non ha più nascosto la sua omosessualità, pur trattando l’argomento sempre con discrezione.Ma il suo coming out sottotono passò quasi inosservato anche perché Courtney Love lo definì l’uomo più sexy d’America. «Distanzia tutti gli altri di chilometri - disse la cantante -. Se volesse avere un figlio voglio essere nella sua top five». Oggi Stipe ha una relazione stabile e pubblica con il fotografo Thomas Dozol. «Ho avuto relazioni con donne - ha spiegato l’anno scorso a The Observer - ma ho scoperto di preferire gli uomini e ora sono innamorato di una persona che è il mio boyfriend. Nonmi sono mai definito gay, perché secondome l’approccio bianco o nero non funziona, ma ho grande stima e rispetto per chiunque ha fatto scelte diverse, mantenendole con convinzione».


BOB MOULD
La rivoluzione punk Usa degli anni ’80 lo annovera tra gli assoluti protagonisti. Alla guida degli Hüsker Dü divenne uno dei creatori del rock alternativo, creando con Zen Arcade uno dei dischi fondamentali di quell’epoca. Era un mondo di ribelli musicali e di rivoluzionari, ma l’omosessualità non era ancora pienamente accettata e Mould decise di non svelarsi al pubblico. «Era come essere gay sotto le armi - ha detto -. Il principio era: tu non lo chiedi, io non te lo dico. Se non lo promuovevi non avevi problemi. Come artisti punk rock eravamo outsider, più disadattati si raccoglievano e meglio era. Se eri gay eri certamente il benvenuto, ma non dovevi metterlo troppo in evidenza. Negli anni ’80 c’erano diversi artisti, come Jimmy Sommerville o Boy George, che facevano musica con tematiche gay. L’essere androgini era sempre stato parte del rock,ma io non volevo essere identificato come un musicista gay perché avrebbe limitato il pubblico che volevo raggiungere con la miamusica». Negli anni ’90 Bob Mould fondò gli Sugar, gruppo che ottenne un grande successo e in un’intervista al mensile Spin decise di non nascondersi più, comunicando anche il suo profondo disagio con la rappresentazione classica della comunità omosessuale. Per Mould: «I tempi negli anni ’90 erano cambiati. Negli anni ’80 eravamo i cattivi. Spargevamo le malattie e uccidevamo le persone. Io comunque non riuscivo a identificarmi con lo stereotipo colorato e frivolo da gay parade. Non vedevo mai rappresentate le persone reali, gli insegnanti, gli anziani. Anche io come gay dovevo trovare una mia identità». La scelta di vita portò anche a un diverso percorso espressivo, Mould sciolse gli Sugar e si diede alla musica elettronica, esibendosi in discoteche gay con il nome Blowoff. «La mia frustrazione con la moda dell’indie rock combinata alla mia volontà di appropriarmi della mia identità gay mi convinse che la colonna sonora di tutto ciò fosse la musica elettronica». Oggi Mould ha 52 anni e ha fatto pace con se stesso. Ha raccontato la sua avventura nel libro, uscito l’anno scorso, See a Little Light: The Trail of Rage and Melody. Il suo ultimo album Silver Age, uscito quest’anno ritorna al rock che lo ha reso famoso ed è uno dei migliori della sua carriera solista.

 JÓNSI, SIGUR RÓS
Crescere in Islanda non deve essere semplice, non fu certamente semplice per Jón Þor Birgisson, detto Jónsi, che visse un’adolescenza solitaria e isolata in cui la musica era una delle poche consolazioni. «Essere gay - ha ricordato in un‘intervista al Mirror - mi sembrava naturale,ma non lo resi pubblico fino a 21 anni, anche perché vivendo in campagna non incontravo nessuno. Non conoscevo nessuno che fosse gay. Mi sentivo come il personaggio della sit-com Little Britain ’L’unico gay del villaggio’». La musica divenne il rifugio, ma anche la via d’uscita: «Non conoscendo nessuno e, non potendo avere relazioni sentimentali, finivo per creare musica e dedicarmi al disegno per tenermi occupato. Scrivere canzoni mi faceva sentiremeglio. Così posso dire che essere gay ha aiutato la mia carriere ». La musica portò Jónsi fuori dell’isolamento,militò prima nei Bee Spiders e poi fondò i Sigur Rós, band che fu subito ben accolta dalla eclettica scena alternativa islandese e dalla suamusa Björk. I Sigur Rós sono poi diventati una sensazione internazionale, con la loro particolare versione di un post rock spettrale ed etereo. Jónsi compensa queste atmosfere con un progetto musicale semi clandestino che condivide con il compagno Alex Somers chiamato Olympic Boys definito dallo stesso artista di ’gay techno’. È strano che l’omosessualità sia ancora un tema di discussione. Nelle scuole e ovunque dovrebbe essere ormai completamente accettata e fra 50 anni nessuno ci penserà neppure più».

MELISSA ETHERIDGE
Il suo primo album, uscito nel 1988, la proiettò subito tra le più autorevoli cantautrici rock Usa, vendendo 2 milioni di copie e imponendola come autorevole voce della musica al femminile. Nel gennaio del 1993 decise di rivelare a tutti la propria omosessualità in un contesto estremamente pubblico, una festa organizzata dalla comunità gay e lesbo Usa in occasione dell’inaugurazione della presidenza di Bill Clinton che era stato salutato come il primo presidente aperto verso le tematiche omosessuali. Ha ricordato la Etheridge: «Dissi, ‘Sono contenta di essere qui e sono orgogliosa di essere una lesbica da sempre’». Il disco pubblicato poco dopo l’annuncio (intitolato Yes I am, ’Sì lo sono’) fu il suo più grande successo e vendette sei milioni di copie. Da allora ha fatto dell’attivismo per i diritti omosessuali (ma anche delle tematiche ambientali) un vessillo, diventando un simbolo delle lotte femminili anche per il coraggio con cui ha affrontato, nel 2004, il tumore al seno.

RUFUS WAINWRIGHT
Per il cantante canadese, che una volta Elton John ha definito il «più grande cantautore vivente», accettare la propria sessualità lo ha portato ad attraversare quello che egli stesso ha definito, in un’intervista al New York Times, «gay hell» l’inferno dei gay. Figlio benestante di una coppia di artisti affermati (i cantanti Kate McGarrigle e Loudon Wainwright III), fu stuprato a 14 anni da un uomo che lo aveva adescato. Il trauma lo ha portato a rifiutare per anni relazioni stabili e, successivamente, a fare massiccio uso di droghe per poter aumentare la propria fiducia in sé. Ha ricordato: «Anni di insicurezza sessuale, la discriminazione di cui si è vittime, il bisogno di appartenere a un luogo, questo con la droga scompare. In un attimo». Anche dopo il grande successo dell’album Poses del 2000 che lo ha portato alla ribalta internazionale, ha vissuto una vita dissoluta in cui gli eccessi di droghe e sesso occasionale erano una regola: «Con le droghe tutto è più pericoloso ed esaltante. Con le droghe anche le idee più perverse diventano eccitanti». Nel 2002 ebbe un crollo definitivo e decise di disintossicarsi. Dal 2010 ha una relazione stabile con l’artista tedesco Jörn Weisbrodt i due crescono un figlio, avuto da Rufus con Lorca Cohen, la figlia di Leonard Cohen. Le tematiche omosessuali sono al centro delle sue canzoni, come nel brano Going to a Town del 2007 in cui si chiede: «Ditemi, andrò davvero all’inferno per aver amato?».


 CHUCK PANOZZO, STYX
Il bassista e fondatore degli Styx ha vissuto per anni recitando la parte dell’eterosessuale, nascondendo al pubblico la propria omosessualità. La paura era di danneggiare la sua reputazione pubblica e compromettere il successo del suo gruppo che tra gli anni ’70 e ’80 aveva venduto negli Usa milioni di dischi divenendo una delle più celebri band di rock pop. Suo fratello gemello, John Antony, scomparso nel 1996, era il batterista del gruppo, Chuck gli rivelò la sua omosessualità quando avevano vent’anni, ma gli altri membri della band per lungo tempo non ne furono al corrente. Nel 1991 scoprì di avere contratto l’Hiv e la sua situazione divenne anche più difficile da gestire. «Chiesi al dottore - ha ricordato Panozzo - quanto mi restasse da vivere. Mi rispose ’non lo so'». La sua salute peggiorava e la sua vita divenne un inferno. «Ero completamente distaccato dalla mia carriera professionale. Andavo in tour e non mi sentivome stesso. Solo l’idea di guardare negli occhi il pubblico era diventata per me insopportabile». Panozzo alla fine decise di fare coming out nel 2001, a 53 anni, e di rendere pubblica anche la sua sieropositività. «La mia vita è cambiata completamente. Non ho più paura di esibirmi, riesco davvero a dare tutto me stesso e a divertirmi.
Non ho mai avuto paura di essere scoperto da altri, ma ho sempre avuto paura di non essere in grado di venire allo scoperto per mia scelta». La ricetta del suomiglioramento è stato anche quello di cambiare l’atteggiamento nei confronti della malattia: «Ormai la considero una malattia che si può curare e non più qualcosa di terminale. Il mio desiderio è ora quello di ispirare gli altri gay o etero, a vivere una vita onesta rimanendo orgogliosi di se stessi».

ROB HALFORD
Negli anni ’70 e ’80 gli omosessuali potevano conquistare la scena del pop, ma un genere musicale come il metal non rinunciava alla propria immagine dura e pura, fatta di machismo e aggressività. In realtà il cantante di una delle principali band del genere, Rob Halford, leader dei Judas Priest, era gay nonostante fosse l’icona del guerriero dell’hard rock. Halford lasciò i Priest nel 1991 e nel 1998 decise di fare coming out in un’intervista a Mtv. Lo scalpore fu suscitato dall’assoluta indifferenza con cui la comunità metal reagì alla notizia, segno che una musica ritenuta sessista, misogina e omofoba in realtà aveva saputo evolversi, diventare progressista. Nel 2003 Halford è tornato nei Judas Priest e la band è stata accolta dai fan con l’entusiasmo dei tempi andati. «Sarebbe stato difficile per me uscire allo scoperto negli anni ’70 o ’80, - ha detto Halford -. Ero consapevole della reazione che avrei causato nei media e tra i fan e del possibile danno che avrei causato ai miei compagni della band. Ci sono ambienti musicali che sono più tolleranti più aperti e più comprensivi quello che penso di aver fatto è stato distruggere il mito che le band di heavy metal non hanno queste capacità. Oggi il mondo è diverso e il metal è un mondo completamente nuovo rispetto al 1980». Diverse band heavy oggi non nascondono il loro orientamento sessuale. La cantante degli Otep, Shamaya, gay dichiarata, ricorda un concerto dei Priest: «Nel 2004 ho visto i Judas Priest al festival Ozzfest. Migliaia di metallari che urlavano le canzoni senza che nessuno si preoccupasse della sessualità di Halford. Per me è stato fantastico».

KELE OKEREKE, BLOC PARTY
Il cantante della band inglese dei Bloc Party, uscita di recente con l’album Four, non si è mai nascosto, ma ha raramente affrontato il tema della sua omosessualità. Alla rivista gay Butt, Kele Okereke, britannico di origini nigeriane, ha confessato la difficoltà di farsi accettare dai suoi genitori, cattolici praticanti. «I miei provengono da un parte della Nigeria dove i gay non compaiono – ha spiegato -. Sono cattolici molto rigidi e stanno diventando anziani. Non riuscivo ad accettare l’idea che potessero un giorno morire senza sapere qualcosa che fa parte in modo così determinante della mia vita. Non è stato facile. Ma so che mi amano e che io amo loro». Rompere il riserbo, però, sul tema lo ha reso una figura di riferimento per tanti giovani fan: «Quando vado in giro, sono sempre fermato da giovani, da ragazzini gay che dicono che è incoraggiante vedere qualcuno di una rock band mainstream che ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto. È per questo che ne parlo, dopo anni in cui ho preferito non farlo. È bello far vedere che i gay non sono solo uno stereotipo». 



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