12/12/14

Hyman Minsky: combattere la povertà

Hyman Minsky, il profeta della miseria in mezzo all’opulenza
—  D. Archibugi, 5.12.2014
Saggi . «Combattere la povertà» di Hyman Minsky.
Ediesse riporta all'attenzione le teorie dell'economista che consigliava ai governi «il lavoro per tutti».

Ci sono due modi per com­bat­tere la povertà. Il primo è elar­gire sus­sidi che con­sen­tano agli indi­genti di far fronte ai loro biso­gni più impel­lenti. Il secondo è di tro­vare lavoro per tutti, in maniera che ogni fami­glia possa prov­ve­dere alle pro­prie esi­genze tra­mite i salari gua­da­gnati. Il primo modo sca­tu­ri­sce dalla carità e ha gene­rato molte delle isti­tu­zioni dello stato assi­sten­ziale. Il secondo ha invece con­dotto alle poli­ti­che attive del lavoro e spesso alla diretta crea­zione di impiego da parte del governo.

Hyman Min­sky è stato uno degli oppo­si­tori del primo modo ed un soste­ni­tore appas­sio­nato del secondo. Allievo di Schum­pe­ter ad Har­vard, attento osser­va­tore delle poli­ti­che del New Deal, eco­no­mi­sta key­ne­siano di ele­zione, fu un influente con­si­gliere, anche se ina­scol­tato, dei governi demo­cra­tici ame­ri­cani. Fu tra i primi a rile­vare, spesso osses­si­va­mente, la fra­gi­lità dei sistemi finan­ziari dell’economia capi­ta­li­stica ed i peri­coli con­nessi ad un ecces­sivo inde­bi­ta­mento delle ban­che e delle imprese.

Ini­ziava le sue con­fe­renze con una affer­ma­zione iet­ta­to­ria: «l’avvenimento eco­no­mico più signi­fi­ca­tivo dell’epoca suc­ces­siva alla seconda guerra mon­diale è qual­cosa che non è acca­duto: non vi è stata una depres­sione pro­fonda e dura­tura ana­loga alla grande crisi del 1929». Chi lo udiva faceva spesso gli scon­giuri sotto la sedia, ma poi apprez­zava un ragio­na­mento ser­rato in cui erano elen­cati i peri­coli con­nessi all’instabilità finan­zia­ria e le azioni neces­sa­rie per porvi rime­dio. Né governi e ancor meno le ban­che cen­trali gli die­dero retta.
Scom­parso nel 1996, non ebbe modo di vedere avve­rata, nel 2008, la sua tri­ste pro­fe­zia, e pro­prio per le ragioni che lui aveva illu­strato. Wall Street e City, Washing­ton e Fran­co­forte hanno ini­ziato solo dopo la cata­strofe a pren­dere sul serio le sue idee, tanto che il New Yor­ker ha defi­nito cau­sti­ca­mente que­sta postuma aurea il «Min­sky moment».

Oggi il Levy Eco­no­mic Insti­tute di New York ci offre un’altra serie di scritti dedi­cati alle poli­ti­che del pieno impiego (Hyman Min­sky, Com­bat­tere la povertà. Lavoro non assi­stenza, tra­du­zione ita­liana Ediesse, euro 15). È in un periodo di soste­nuto svi­luppo eco­no­mico, nel quale gli Stati Uniti erano la loco­mo­tiva dello svi­luppo capi­ta­li­sta, che Min­sky ela­bora le sue idee sul lavoro. Nono­stante tassi di cre­scita che a con­fronto della sta­gna­zione odierna sem­brano ver­ti­gi­nosi, lui vedeva già uno dei para­dossi del nostro tempo, ossia la mise­ria nel mezzo dell’opulenza. Erano pro­blemi su cui i Pre­si­denti Ken­nedy e John­son «met­te­vano la fac­cia», si direbbe oggi, tra­mite vasti pro­grammi di poli­tica eco­no­mica e sociale. Ciò avrebbe con­sen­tito di ridurre ulte­rior­mente la disoc­cu­pa­zione per por­tarla alla sola com­po­nente fri­zio­nale. Dall’altra, la «grande società» avrebbe agito per soste­nere quanti non riu­sci­vano ad aggan­ciarsi al carro della crescita.

La società del benes­sere, soste­neva invece Min­sky, non si poteva creare esclu­si­va­mente tra­mite poli­ti­che di assi­stenza. Il soc­corso for­nito ai disoc­cu­pati poteva aiu­tare nel breve periodo, ma lasciare migliaia di gio­vani, spesso di colore, al di fuori del mer­cato del lavoro signi­fi­cava distrug­gere pre­ziose risorse umane. Senza impiego, que­sti ragazzi non avreb­bero avuto un biglietto d’ingresso per la vita civile. Ma sareb­bero stati scon­ten­tati anche coloro che, con le pro­prie tasse, avreb­bero dovuto man­te­nerli per non far niente.
Min­sky rite­neva neces­sa­rio aggre­dire la com­po­nente strut­tu­rale della disoc­cu­pa­zione, alla ori­gine del disa­gio e del con­flitto sociale. Il governo doveva essere più audace, gene­rando diret­ta­mente quei posti di lavoro che il mer­cato non era in grado di creare. Da qui l’idea che il governo dovesse diven­tare «datore di lavoro di ultima istanza». L’idea di Min­sky era di creare un eser­cito indu­striale di riserva pronto ad entrare in azione nei periodi di crisi per pro­grammi di infra­strut­ture sociali e ambien­tali, che poi potesse essere rias­sor­bito dal mer­cato nei periodi di espansione.

Nel 1933 furono eletti Adolf Hitler e Frank­lin Roo­se­velt con un unico punto in comune: la crea­zione diretta di occu­pa­zione. Ciò dimo­strava che non erano solo i governi auto­ri­tari che pote­vano creare lavoro, lo dove­vano fare anche quelli libe­rali, e chi fal­liva rischiava di aprire la porta a incon­trol­la­bili tor­bidi sociali. Assi­mi­lata la lezione, durante la seconda guerra mon­diale si svi­lup­pa­rono anche in Europa pro­getti per assi­cu­rare la piena occu­pa­zione, come quelli di Wil­liam Beve­ridge in Gran Bre­ta­gna e di Erne­sto Rossi in Ita­lia. Il primo pero­rava la sua causa alla Camera dei Lord, men­tre il secondo scri­veva di nasco­sto nel con­fino di Ventotene.
La per­si­stenza della crisi eco­no­mica non con­sente di dimen­ti­care que­sta tra­di­zione, ricor­dano Ric­cardo Bel­lo­fiore e Laura Pen­nac­chi nell’introduzione al volume. L’intervento pub­blico, utile a tem­pe­rare le fasi espan­sive del ciclo eco­no­mico, diventa vitale per impe­dire che la reces­sione si tra­sformi in sta­gna­zione. L’amministrazione Obama ha tratto inse­gna­mento dalle poli­ti­che eco­no­mi­che delle ammi­ni­stra­zioni demo­cra­ti­che di pre­si­denti come Roo­se­velt, Ken­nedy e Clin­ton, men­tre l’Europa si è sco­perta peri­co­lo­sa­mente pre-keynesiana, ridu­cendo la spesa gover­na­tiva e sman­tel­lando le imprese pub­bli­che quando ce n’era più biso­gno, senza per altro otte­nere alcun effetto posi­tivo sul debito pubblico.

Ma soprat­tutto, si sono bru­ciate le risorse umane delle nuove gene­ra­zioni, spesso ada­giate sui sus­sidi e abi­tuate a vivac­chiare in una zona gri­gia spesso domi­nata da ozii e vizi. Per un quarto di secolo, Min­sky inse­gnò alla Washing­ton Uni­ver­sity di Saint-Louis, una effi­ciente isti­tu­zione pri­vata a soli quin­dici minuti da Fer­gu­son, cit­ta­dina dove il 17% della popo­la­zione, in gran parte di colore, vive sotto la soglia della povertà. Min­sky sapeva di cosa par­lava: se fosse stato ascol­tato dal governo, forse non ci sareb­bero più ghetti negli Stati Uniti. Oggi ram­menta all’Europa che senza lavoro per tutti i nostri sistemi poli­tici rischiano di franare.


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